Il 28 giugno scorso, Torino e provincia sono state il cuore e l'epicentro dell'indubbio successo che ha avuto lo sciopero generale di Gruppo, indetto dal Sallca-Cub, per contrastare le pesanti ricadute del processo di fusione.

In Area più di 50 filiali chiuse e molte altre funzionanti a scartamento ridotto, presenze dimezzate nelle sedi, oltre un migliaio di lavoratrici e di lavoratori in sciopero e un dato di assenti per ferie abnorme per un giorno infrasettimanale il che, in qualche modo, ha dimostrato la voglia di tanti di dare comunque un contributo, malgrado le pressioni dell'azienda e delle burocrazie sindacali.

Certo, si può legittimamente argomentare che a Milano le cose sono andate in maniera ben diversa o che in decine di filiali sparse per il paese dello sciopero non era giunta nemmeno la notizia.

Ma tutto questo era ampiamente prevedibile in considerazione dei pesanti limiti "operativi" cui è sottoposta l'attività del sindacato di base, dell'ancor scarso radicamento in alcune regioni e della determinazione con la quale azienda e vertici dei sindacati concertativi hanno cercato di impedire che il "contagio" si estendesse al di là delle zone di consolidata presenza del Sallca-Cub.

Occorre non dimenticare come, in alcune aree dove emergevano forti disponibilità alla mobilitazione, l'esito dello sciopero sia stato pesantemente condizionato da comportamenti della gerarchia aziendale illeciti e volti ad intimidire i lavoratori, come la diffusione di notizie false sulla regolarità dello sciopero (con le argomentazioni più fantasiose). Ed è vergognoso sapere che spesso sono stati prezzolati pseudo sindacalisti ad affiancare o sostituirsi all'azienda in questo sporco lavoro.

Ma lo sciopero ha avuto, comunque, carattere nazionale (con risultati molto significativi, ad esempio, nel napoletano e in Liguria) ed è stato certamente uno sciopero unificante. Vi hanno partecipato i lavoratori venduti al mercato con le loro filiali, i colleghi di rete alle prese con pesanti problemi di organico e stufi di subire rapine evitabili, quelli di sede costretti a scegliere tra perdita di professionalità e trasferimenti forzosi, quelli deportati nei poli di back office, i sanpaolini che vedono progressivamente demolite le conquiste sindacali di decenni ed i lavoratori di Intesa, già duramente provati (in primo luogo dal vergognoso accordo di fusione tra Comit, Bav e Cariplo, che determinò licenziamenti e la perdita di migliaia di posti di lavoro) ma non ancora tutti rassegnati.     

Le inattese dimensioni dello sciopero hanno certamente colpito l'azienda e le stesse segreterie sindacali ma, purtroppo, non hanno determinato uno scarto nella trattativa centralizzata. Da allora ad oggi, in sostanza, è stato firmato solo il prolungamento del ricorso al "Fondo Esuberi", un accordo per dirla in estrema sintesi che può accontentare chi non ce la fa più a rimanere in azienda, ma peggiora ulteriormente le condizioni di chi resta. 

E ormai mancano tre mesi alla scadenza dell'Integrativo Sanpaolo ed il superspezzatino con il quale sono state vendute le filiali Antitrust materializza le peggiori preoccupazioni e rende drammaticamente necessario un accordo di cessione di alto profilo (ben diverso dai due precedenti) e che rivendichi, in prima battuta, il diritto d'opzione.  

Questo è lo scenario nel quale i sindacati concertativi (Falcri esclusa) hanno tenuto, nel mese di settembre, un giro di assemblee nelle filiali di Torino e provincia che ha avuto lo scopo (dichiarato) di costruire una piattaforma rivendicativa locale (in particolare su organici e sicurezza) a sostegno della quale è stato poi proclamato lo sciopero di Area del 5 ottobre.

Diciamo subito che le richieste avanzate sono sacrosante ed anzi persino timide rispetto alle situazioni emerse nelle assemblee e che siamo pienamente convinti della buona fede di molti delegati sindacali di filiale (alcuni dei quali hanno già scioperato con noi) che vogliono, in qualche modo, uscire dallo stato di passività al quale sono costretti da mesi. Tuttavia alcune considerazioni si impongono.

  1. Perché solo l'Area Torino? Qual è, nel disastro odierno, la specificità torinese su temi quali la carenza di organico e la sicurezza nelle filiali? La situazione è grave ovunque e, anzi, esistono delle Aree dove è anche peggiore, vista la non compresenza sul territorio di un ampio "bacino" da svuotare progressivamente come quello rappresentato dalle ex-sedi sanpaolo. E sulle rapine, che dire del Meridione o delle aree dove è maggiore la presenza di sportelli ex-Intesa, generalmente caratterizzati da ancora minori livelli di sicurezza? Ci viene detto che iniziative analoghe "bollono in pentola" in altre realtà territoriali…. Non vorremmo essere di fronte alla riedizione della favoletta sentita nei giorni del Colosseo o durante le assemblee provinciali per i lavoratori delle filiali cedute (faremo così ovunque possibile….generalizzeremo le iniziative ….ma per piacere !!!)
  2. Perché uno sciopero che divide anziché unire? E' davvero drammatica, in questa situazione, la voragine psicologica e materiale che si apre nei confronti dei lavoratori torinesi ceduti, per i quali le sigle trattanti non stanno facendo nulla (salvo far mandare dalle consociate di Carige e Creval messaggi augurali di benvenuto con annesso elenco dei servizi offerti !). E che dire dei lavoratori dei back office che non potranno scioperare, anche se il loro accentramento è, in molte filiali, tra le cause prime dell'aggravamento delle carenze di organico? E cosa devono pensare i colleghi di Sede?
  3. Incuranti delle gravi contraddizioni logiche e sindacali che tale posizione comporta, le sigle torinesi chiamano i lavoratori allo sciopero sulla base di uno schema che si può così riassumere: dato il difficilissimo contesto, la trattativa centrale sta andando benino, stiamo siglando buoni accordi, nulla di importante è stato ancora perso, non si può certo rompere; tuttavia incontriamo dei problemi e delle resistenze in Area, vogliamo più personale e più sicurezza e allora scioperiamo.

Ora, tutto si può dire e fare, tranne che proclamare una mobilitazione a Torino partendo da un simile ragionamento senza porsi esplicitamente il problema del rapporto, non tanto con il Sallca-Cub (anche se sarebbe il caso…) quanto con quella maggioranza di lavoratori che, partecipando allo sciopero del 28 giugno, ha già dimostrato di non condividere affatto tali valutazioni. E che invece ha voluto manifestare la propria protesta e la propria opposizione contro l'insieme delle pesanti ricadute del processo di fusione: le gravi carenze di organico e la riduzione della sicurezza a costo, certo, ma anche l'estenuante lentezza della trattativa centralizzata, la remissività della delegazione trattante, i pessimi accordi già sottoscritti (di cessione, sul sistema incentivante…), lo smantellamento del CIA Sanpaolo, la perdita del controllo sindacale sulle assunzioni, l'accentramento dei back office, le pressioni commerciali legate ai nuovi game iperindividuali e l'elenco potrebbe essere molto più lungo.

Invece, come dimostrano i volantini delle Sigle concertative e le loro relazioni introduttive alle assemblee, in particolare dove manca il contraddittorio con i nostri delegati, siamo di fronte ad un'incredibile, puerile rimozione psicologica dei contenuti e del significato di quello sciopero.

Tante e grandi sono quindi le nostre perplessità.

Ciò nonostante, il 5 ottobre i quadri sindacali del Sallca-Cub sciopereranno.

Due le motivazioni di fondo. Innanzi tutto, vogliamo essere coerenti con l'impegno assunto con i lavoratori torinesi al Colosseo, quando dicemmo che di fronte ad ogni sussulto delle sigle avremmo cercato di fare la nostra parte. In secondo luogo, l'esito dello sciopero del 28 ci assegna una grande responsabilità e non vogliamo contribuire a frantumare quell'unità dei lavoratori che, a Torino, ha contraddistinto quella giornata di lotta.

In buona o cattiva fede, che lo si dica apertamente o che lo si neghi con sdegno, questo sciopero nasce per il successo di quello.

Faremo quindi finta di dimenticare che, quel giorno, alcuni di quelli che oggi "sono sul piede di guerra" hanno emesso diktat nei quali diffidavano i quadri di base delle loro sigle dallo scioperare con noi e che altri si sono presentati al lavoro dicendo agli esterrefatti direttori: "fammi aprire cassa perché oggi la filiale deve funzionare".

Sciopereremo e dedicheremo la giornata ad incontrare i lavoratori venduti di altre regioni.

Deve essere chiaro, comunque, che riteniamo questa ed altre (eventuali) iniziative locali insufficienti (quando non controproducenti) rispetto alle esigenze che hanno oggi i lavoratori del Gruppo. E che sono riassumibili solo in una dura vertenza di carattere nazionale, su obiettivi precisi e condivisi. Nella paralisi e nella sudditanza altrui, abbiamo già dimostrato di saper chiamare i lavoratori alla lotta e non esiteremo a farlo nuovamente.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Intesa Sanpaolo – Area Torino e Provincia

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