Nei giorni scorsi Unicredit ha confermato che il prossimo 2 Giugno prenderà ufficialmente il via il progetto Smart Work, che altro non è che il prosieguo della giornata di “lavoro agile” già sperimentata a Milano qualche mese fa.
Il progetto, come i lavoratori sapranno, offre ai lavoratori del Gruppo la possibilità di lavorare al di fuori della propria sede di lavoro per un giorno a settimana (previa sottoscrizione di un contratto individuale). Al momento la possibilità di partecipare a questa fase di sperimentazione  (della durata di sei mesi) sarà assicurata solo ad alcune strutture di Ubis.
Unicredit si mostra sempre più interessata a venire incontro alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori del Gruppo, soprattutto nell’ottica di una migliore conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia. Si vuole cioè garantire – almeno sulla carta – una migliore qualità della vita.

C’è anche un’anima ecologista in questi progetti. Unicredit vorrebbe ridurre l’impatto del pendolarismo sull’ambiente, che sappiamo essere fatto molto spesso con auto e moto individuali; ma poi non si capisce perché negli hub aziendali non si realizzino strutture per chi viene al lavoro in bici, si limiti il riciclo della carta, non si migliori la raccolta differenziata, non si incentivi l’uso delle scale al posto degli ascensori o non si favorisca la produzione negli stabili aziendali di energia “green” .

Comunque le motivazioni addotte da Unicredit sono tutte nobili e condivisibili, se non fosse che sono dichiarazioni più di facciata che di sostanza.
Alla base di tutto vi è, come sempre, l’esasperata ricerca di un contenimento dei costi, anche a scapito dei diritti dei lavoratori. Lo abbiamo già sperimentato con lo smart working e con il telelavoro; non sarà diverso per coloro che sceglieranno lo Smart Work.
Non a caso l’Azienda ha già predisposto un contratto individuale in cui si fanno ricadere costi e oneri sul lavoratore. Chi vorrà lavorare fuori ufficio (da casa o, al momento, dal palazzo di Cologno Monzese) dovrà farsi carico – e sotto la sua responsabilità –  di verificare che i locali presso i quali svolgerà l’attività siano conformi alle normative in materia di igiene e sicurezza (con la sola eccezione dei locali definiti come hub aziendali).
Tale incombenza per legge non spetterebbe invece al datore di lavoro? Ma forse, diciamo noi, se neppure negli stabili aziendali Unicredit rispetta la normativa di legge, come potrà mai farlo al di fuori di essi? E’ sempre sotto la responsabilità del singolo verificare che la propria location risponda anche ai requisiti previsti dalle policy di Gruppo, così da garantire comunque l’Azienda. Pensiamo per esempio ai dati sensibili ed alla privacy. L’Azienda se ne laverà le mani e sarà pronta a punire, c’è da scommetterci, i lavoratori, diciamo così, “poco attenti e rispettosi delle norme”. Ed i lavoratori dovranno essere sempre reperibili. L’applicativo Link dovrà essere sempre attivo così da poter contattare (e controllare) sempre il lavoratore.

Anche i costi saranno a carico del dipendente: collegamento alla rete aziendale, consumi elettrici, uso (se necessario) della stampante. Persino il Ticket restaurant verrà negato se si lavora al di fuori di uno stabile aziendale.
Lo smart work diventerà l’ennesima occasione sprecata? Certo, almeno fino a quando l’Azienda vorrà muoversi a senso unico, calpestando anche i più elementari diritti dei lavoratori.

Approfittiamo di questo comunicato per complimentarci con Federico Ghizzoni CEO di Unicredit per la sua fresca nomina a “cavaliere del lavoro”. Siamo un po’ basiti dalle logiche che vengono adottate per l’assegnazione di tali onorificenze; se non altro per la tempistica. Il CEO di Unicredit ha appena collezionato due denunce per usura. Siamo tutti garantisti, ma forse non era il momento migliore per tale nomina; ma in fondo, se è vero che si vogliono far rientrare nel calcolo del PIL anche le attività illecite, questa situazione rientra nella più assoluta normalità

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo Unicredit

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