L’esilità del testo e il rinvio a successivi accordi di temi importanti concernenti il ridisegno dell’organizzazione del lavoro, dei profili professionali e dei conseguenti inquadramenti, rendono di difficile valutazione l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL del credito, firmata in aprile.

Uno spettro, o meglio una famiglia di spettri, uno per ogni gruppo bancario, si aggira eterea e pur presente costantemente, sullo scarno articolato: i piani industriali del prossimo futuro.

Questi ospiti non vengono descritti nel loro aspetto, non essendo naturalmente questa la sede, ma ne ricaviamo il terrificante ritratto, da una vera e propria ossessione sottesa all’ipotesi di accordo: la gestione degli esuberi. Questa acquista una centralità palese nell’economia del testo.

Così come tutte le strade portano a Roma, allo stesso modo, verrebbe voglia di dire, tutti i punti o quasi affrontati, conducono alla necessità di affrontare crisi ed esuberi. Vediamo.

Il fondo per l’occupazione istituito nella precedente tornata contrattuale, che come sappiamo è finanziato da noi lavoratori ed ha inondato le banche di giovani assunti (lo so non li vediamo, ma forse sono eterei, come gli spettri di cui sopra), è confermato, ma la sua natura viene radicalmente modificata. Se ne fa un ulteriore strumento di gestione delle tensioni occupazionali, che opererà in sinergia con il Fondo di solidarietà.

La lettura dei nuovi compiti del Fondo per l’occupazione, ci rimanda a scenari apocalittici: rioccupazione dei lavoratori destinatari della Sezione emergenziale del Fondo di solidarietà e dei lavoratori licenziati per motivi economici, riconversione finalizzata a fronteggiare possibili eccedenze di personale dovute a mutamenti nell’organizzazione del lavoro, quella di cui si è rimandato il complessivo riassetto, come accennato, ad accordi futuri e su cui quindi non ci è dato sapere nulla, nel momento in cui andremo in assemblea a discutere dell’approvazione dell’ipotesi di rinnovo.

Ma la serpeggiante presenza dei piani industriali che ci attendono, riaffiora anche nel punto più innovativo dell’ipotesi di accordo, quello che configura la formazione di uno strumento di coordinamento, finalizzato alla ricollocazione del personale.

Attraverso una piattaforma informatica avente lo scopo di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro settoriale, si assiste ad un inedito tentativo di gestione degli effetti delle ristrutturazioni. L’Ente bilaterale che ne dovrebbe sovraintendere il funzionamento, andrebbe a costituire una sorta di agenzia di collocamento settoriale, la cui scala dimensionale, potrebbe facilitare un più efficace mantenimento dei livelli occupazionali.

Il condizionale però è doppiamente d’obbligo, sia per l’incertezza dovuta ad un’articolazione normativa di dettaglio che manca, sia soprattutto, per quella che è a nostro avviso la più eclatante delle omissioni nel testo dell’ipotesi di accordo, ossia la disciplina delle esternalizzazioni.

Il generale peggioramento qualitativo dell’occupazione, con la diffusione della precarizzazione del rapporto di lavoro, si avvale prevalentemente nel nostro settore, della forma della cessione del ramo d’azienda. Per anni risparmiate da queste modalità organizzative, le banche sembrano ormai divenute gli avamposti più “avanzati” nella elaborazione di tali politiche aziendali.

Le esternalizzazioni sono divenute la principale minaccia psicologica incombente sui lavoratori del credito. Un fiume che ha abbattuto gli argini operativi tradizionali, potendo ormai riguardare qualsiasi attività svolta all’interno delle banche.

Il silenzio dell’ipotesi di accordo su questo punto, anche solo in termini di impostazione generale, è dunque assordante. Ed in connessione con il filo rosso della necessità di gestire le crisi occupazionali, sotteso ad esso, prospetta scenari davvero inquietanti.

Così come è costruita, l’ipotesi di accordo è da rigettare.

Però a nostro avviso essa pone dinanzi alle forze sindacali e ai lavoratori maggiormente conflittuali, uno spunto su cui avviare una riflessione.

Sia per quanto riguarda la piattaforma informatica di cui abbiamo già parlato, sia per ciò che concerne il prospettato Cantiere di lavoro che dovrebbe definire i nuovi profili professionali e il sistema di classificazione del personale, ci pare possa aprirsi uno spazio negoziale nuovo, solo prefigurato e teorico per il momento, ma che potrebbe essere tradotto nella possibilità di incidere sul riassetto del settore, perseguendo l’inclusione dei segmenti spinti fuori dal perimetro contrattuale dalla nuova articolazione produttiva.

Un’impostazione programmatica che però passa necessariamente per la costruzione di un diverso modello di rappresentanza sindacale, in considerazione anche del non secondario aspetto che, quale che sia il prossimo contratto collettivo, si tratterà del primo firmato nell’era del Jobs Act e dello scardinamento sostanziale dello Statuto dei lavoratori.

Ma questo è un nodo importante, che richiede una specifica discussione approfondita e su cui dovrebbero convergere le riflessioni di tutti coloro che sono disposti ad impegnarsi nella realizzazione di un ormai necessario adeguamento degli strumenti di lotta, adeguamento che a nostro avviso dovrebbe partire da una valutazione circa la funzionalità delle tradizionali categorie produttive, ad un’azione sindacale che debba tener conto del mutato contesto nazionale e, soprattutto, sovranazionale.

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