Vista l’impossibilità di analizzare in dettaglio l’ipotesi di accordo per gli stringenti limiti di tempo, ritengo più utile soffermarmi sull’impostazione generale che a mio avviso la caratterizza.

Vorrei richiamare la vostra attenzione su un concetto contenuto nella premessa. La centralità dei dipendenti. Centralità che  nel documento viene ribadita.

Ma attraverso quali modalità si intende perseguire tale scopo? Attraverso un rafforzamento del welfare aziendale.

Il consolidamento del welfare aziendale sembra assolvere la funzione che una volta era rappresentata dalla stabilità del posto di lavoro, facendoci fare un ulteriore passo in avanti verso un modello di regolamentazione del rapporto di lavoro di tipo americano, che potremmo sinteticamente chiamare dei sommersi e dei salvati.

Chi  riesce  a  salvarsi  dalle  eventualità  sempre  più  numerose  che  minacciano l’esistenza  stessa  del  rapporto  di  lavoro,  che  vanno  dal  trovarsi  coinvolti  in un’esternalizzazione o più semplicemente, per i futuri colleghi assunti dopo il Job’s act, all’essere inquadrati con il cosiddetto contratto a tutele crescenti che consente la piena libertà di licenziamento, potrà fruire dei servizi del welfare aziendale, che saranno sempre più ambiti anche in assenza di un loro irrobustimento ottenuto in fase negoziale, vista la progressiva privatizzazione della sanità a cui assistiamo.

Chi invece resterà stritolato dalla competizione sempre più spinta che regolerà la vita lavorativa, competizione alla quale, sia detto en passant, questo accordo non mette alcun freno per quanto concerne il tema delle pressioni commerciali, scomparirà dal nostro orizzonte politico, sindacale o semplicemente emotivo, non prima però di svolgere per l’azienda un’ultima preziosa funzione: quella di deterrente alla conflittualità, alla contestazione, o alla semplice critica.

Questa impostazione è da rigettare. Se come si afferma nella premessa, l’azienda ha a cuore il sostegno dei dipendenti e addirittura delle loro famiglie, non esiste miglior rimedio che concordare insieme ai rappresentanti dei lavoratori, norme che anche nella contrattazione di secondo livello impediscano gli abusi in tema di cessioni di ramo d’azienda e mettano dei limiti alla disciplina nefasta del Job’s act per i nuovi assunti.

 

Così come è da rigettare quello che nell’ipotesi di accordo non si legge, perché implicito: la rassegnazione.

 

Rassegnazione che porta all’accettazione indiscutibile, che si debba intervenire sul

salario.

 

Un assunto dogmatico. Che naturalmente si ha cura di rivestire della più spendibile delle vesti tecniche.

 

Ma qui, ora, ma direi ovunque e sempre, quando si arriva a parlare esclusivamente in termini tecnici, significa che la politica, intesa come insieme delle decisioni che riguardano l’esistenza degli uomini e su di essa impattano, ha già fatto la sua parte.

 

Allora sì che non c’è nulla da discutere perché la dimensione tecnica non può offrire

alternative, ma solo formali accomodamenti. Rigettiamo e poi? Potrebbe dire qualcuno.

Ed io rispondo: già il rigettare è un poi. Un poi che non è stato ancora attraversato se

permettete, e di cui è giusto non conoscere le conseguenze, che possono essere valutate solo a posteriori, e sulla base della forza e della coesione con cui si mantiene quel poi.

 

Quel poi, e concludo, può acquisire forza però, solo uscendo dalle condizioni che hanno regolato da sempre le relazioni sindacali di questo settore, rompendo col sistema della delega in bianco, rifondando l’azione sindacale sulla base costituita dai lavoratori e riuscendo anche qui ad eleggere i nostri rappresentanti.

Io questa scelta l’ho concretizzata aderendo all’unico sindacato di base del settore, il SALLCA CUB.

Invito tutti i lavoratori che sono animati da un analogo sentire a votare no a questa ipotesi d’accordo e, soprattutto, a dare forza alla costruzione di una reale democrazia sindacale nel settore del credito, l’unico strumento che può far pesare maggiormente le nostre sempre più intimorite, spaesate, rassegnate voci individuali, in una dignitosa e forte voce collettiva.

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