La “narrazione” che emerge dai comunicati dei sindacati firmatari asseconda la tesi che gli accordi sono buoni, ma l’azienda non li applica come si deve. Il tutto ricorda le giustificazioni rispetto al problema degli orari estesi: in quel caso, nel contratto nazionale, senza consultazione preventiva dei lavoratori, era stata introdotta l’apertura degli sportelli dalle 8 alle 20, più il sabato mattina, senza nessun vincolo aziendale. Quando questa possibilità è stata attuata, praticamente ad organici invariati, la “colpa” era dell’azienda che l’applicava senza criterio.

Ora la storia si ripete ed il 7 aprile un comunicato unitario affermava perentoriamente: “chiediamo all’azienda impegni precisi sull’applicazione del Contratto di Secondo Livello e tempi definiti per le comunicazioni delle complessità e per l’erogazione delle indennità di ruolo e di quelle di direzione e sostituzione”.

Se ogni volta ci si deve lamentare della mancata/ritardata/maldestra applicazione degli accordi, o i sindacati firmatari sono sprovveduti (per usare un eufemismo), o forse il problema risiede negli accordi stessi e nella scarsa affidabilità della controparte (non ci siamo dimenticati del licenziamento, poi rientrato, degli apprendisti nel 2012, usato come arma di  ricatto nella vertenza in corso).

Noi siamo stati gli unici a contestare gli accordi di secondo livello (peraltro approvati con un’ampia percentuale, sul piano nazionale, dai lavoratori che hanno partecipato alle assemblee), nel metodo e nel merito. Il metodo è stato quello di una piattaforma presentata solo dalla controparte, con proposte già definite, emendate per quanto possibile dai sindacati al tavolo e poi firmate. Parlare di trattativa, in questa situazione, ci pare azzardato. Nel merito gli accordi (non tutti nella stessa misura) lasciavano ampio spazio alla discrezionalità aziendale, oltre a presentare caratteristiche di scarsa chiarezza, elevata complessità, difficile esigibilità.

Dopo sette mesi dalla firma, possiamo verificare gli effetti dell’accordo, in particolare sui temi “caldi”  del Premio Variabile di Risultato (PVR) e delle pressioni commerciali.

Sugli altri temi rimandiamo ai comunicati dei sindacati firmatari per i dettagli, ricordando solo gli inaccettabili ritardi aziendali rispetto alle comunicazioni sulla complessità dei portafogli, ai  pagamenti di indennità per coordinatori Retail e Imprese, direttori di filiale, direttori di Area,  alle tematiche della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Tutto questo senza dimenticare che sugli inquadramenti l’accordo fa passi indietro rispetto ai precedenti per quel che riguarda la rete filiali (peraltro, sistemata la parte che gli interessava, l’azienda si è dimenticata degli inquadramenti dei lavoratori del resto della banca) e che dai comunicati territoriali dei sindacati firmatari, emergono episodi di diniego nella concessione delle giornate di sospensione volontaria (la cui richiesta, complessivamente, ha raggiunto la quota di 95.000).

Sull’argomento del nuovo Fondo Pensioni torneremo con un volantino specifico.

Che succede sul Premio Variabile di Risultato (PVR), una delle “conquiste” del contratto nazionale, che supera la divisione tra Vap e sistema incentivante e pone le basi, secondo i firmatari, per controllare la discrezionalità aziendale sul salario variabile?

Qui lasciamo la parola al comunicato unitario, che sarebbe perfetto se non fosse che l’accordo l’hanno firmato loro:

“abbiamo inoltre denunciato che, dopo la pubblicazione della circolare sul Premio Variabile di Risultato 2015 (PVR) il clima nella filiali, già compromesso dalle pressioni commerciali, è ulteriormente peggiorato. Le schede (scorecard) in merito al riconoscimento della quota di eccellenza del PVR sono eccessivamente complesse (sembra infatti più semplice leggere e comprendere un geroglifico egizio!) ma, quello che è peggio, è la variazione delle “regole di ingaggio” per l’eccellenza.La mancanza di chiarezza e la variazione delle regole di ingaggio creano forte sfiducia tra i colleghi”.

Ritorna la domanda: dabbenaggine o malafede?

Disarmante è la situazione sulla parte delle pressioni commerciali. In buona sostanza, l’unico effetto dell’accordo è che le pressioni scritte (via mail) sono state sostituite da pressioni verbali. I colleghi sono restii a segnalare gli episodi anche con lo “schermo” sindacale. D’altronde cosa segnalare? L’unico esempio richiamato nell’accordo, cioè i continui report richiesti, è già stato ridimensionato dalle funzioni aziendali: i report non sono vietati, è vietata solo la loro  “ridondanza”.

Noi stessi avevamo invitato i lavoratori ad usare la casella “Io segnalo”, per non dare l’idea che tutto andasse bene, ma fin dall’inizio sapevamo che sarebbe stato difficile e che l’accordo, in questi termini, non risolveva nulla, mentre regalava all’azienda una patente  di “eticità”.

La questione vera è che le pressioni commerciali costituiscono ovunque l’essenza stessa dell’attuale modello di banca, con un paio di specificità di Intesa Sanpaolo.

La prima è un piano industriale ambizioso e irrealistico, perchè pretendere di fare utili a livelli mostruosi mentre l’economia ristagna (quella mondiale e ancor più quella italiana) non ci pare molto etico e certamente richiede di “spremere” oltre misura la rete.

La seconda è un modello organizzativo (il nuovo modello di servizio inaugurato il 19 gennaio del 2015) pensato “scientificamente” per mettere sotto pressione i gestori, attraverso filiali più piccole e la supervisione opprimente dei direttori di area.

Ovviamente un sindacato che scarta a priori l’idea del conflitto non può cambiare né un piano industriale, né l’organizzazione del lavoro che l’azienda si è scelta (e che è in continua mutazione) ma, oltre a negoziarne le ricadute (il che presupporrebbe, comunque, l’esistenza di una propria piattaforma da contrapporre a quella aziendale),  dovrebbe almeno contrastare le violazioni di legge e contrattuali che le iniziative aziendali possono determinare.

Questo vuol dire che quando si crea un numero ingente di ore di lavoro straordinario giustificate con NRI (presenza senza prestazione lavorativa), per non parlare di altre forme di straordinario non dichiarate, occorre prendere atto e denunciare la verità: tutto ciò costituisce evasione fiscale e contributiva.

La divisione delle filiali tra Retail e Personal crea disagi ai lavoratori (sia per le difficoltà operative, sia per le clamorose carenze di formazione), fa aumentare le pressioni commerciali e lo stress lavorativo: tutto questo viola il DL 81/2008 sulla salute e sicurezza.

Se viene deciso che le casse debbano essere ridotte, non esitando a lasciare i clienti in coda per tempi interminabili, determinando costanti situazioni di tensione per il colleghi, bisogna dirlo:   anche questo viola il DL 81/2008 sulla salute e sicurezza.

Se nonostante i ripetuti richiami, peraltro fatti anche dai sindacati firmatari, l’azienda persevererà con queste violazioni di legge, la denuncia alle autorità competenti sarà inevitabile.

La tensione verso risultati ad ogni costo sta creando un pericoloso stato di delirio di onnipotenza  tra alcuni responsabili, il clima intimidatorio non si respira solo nelle filiali, ma anche nelle sedi. Si afferma un senso di impunità dei comportamenti gestionali scorretti e si afferma l’idea che tutto oramai sia lecito in nome dei risultati.

Questa deriva va contrastata con fermezza e sarebbe opportuno che, perlomeno, gli accordi non finissero per avallare certe scelte aziendali, che vanno respinte. Lo stato di malessere dei lavoratori, ormai generalizzato, può essere risolto solo con un’azione incisiva che contempli anche l’avvio di iniziative conflittuali.

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