Nei giorni scorsi, due tra i non pochi lavoratori che ci avevano chiesto i link per poter vedere l’assemblea che abbiamo organizzato il 9 marzo a Torino su assunzioni ibride” e “pressioni commerciali” ci hanno riscritto domandando, quasi con le stesse parole, se il nostro reiterato appello a pensare e mettere in campo unitariamente delle iniziative di mobilitazione per contrastare le devastanti politiche aziendali che avvelenano sempre più il clima lavorativo nella Rete (e non solo) avesse sortito qualche effetto tra le altre sigle sindacali.

Ci è sembrato naturale girare loro il materiale prodotto dalla Fisac dell’Area Torino e Provincia a sostegno della loro campagna contro la “Vendita malata” che è stata recentemente lanciata con tanto di video interviste ai dirigenti sindacali locali.

La cosa ha fortemente sconcertato i due colleghi (non nostri iscritti e che lavorano rispettivamente nel Veneto e nelle Marche) che, ancora una volta con accenti molto simili, ci hanno risposto che anche da loro il problema è gravissimo ma che i sindacati firmatari, dopo aver scritto volantini di fuoco, non hanno fatto nulla di nulla e che il tran tran non è certo cambiato negli ultimi tempi.

Perché si muove qualcosa solo a Torino?

Confessiamo di nutrire anche noi qualche dubbio.

Ad una prima lettura, infatti, abbiamo giudicato l’iniziativa della Fisac con un certo compiacimento. Per il luogo, i tempi, per alcune delle modalità di lavoro previste e persino per qualche passaggio testuale ci è sembrato del tutto evidente che essa avesse (anche) il carattere di una risposta alle nostre sollecitazioni (o meglio a quelle di tanti lavoratori).

Ma perché di fronte ad un problema di ovvia rilevanza nazionale un’organizzazione potente e ricchissima di mezzi come la Fisac si limita ad un’iniziativa locale? A cosa serve? Quali spazi di contrattazione e possibilità di mobilitazione apre? E non ci si dica che è un “pilota” destinato ad essere poi replicato in altre aree territoriali! Abbiamo già perso sin troppo tempo, abbiamo bisogno di agire ora!

E allora, perché solo Torino?

La questione è rilevante per provare a capire se siamo di fronte ad una cosa utile e seria oppure no.

Un fatto è certo. Noi, proprio in provincia di Torino, dove siamo maggiormente radicati, abbiamo davvero lavorato tanto sull’argomento. E lo abbiamo fatto, pur nelle difficilissime condizioni “operative” alle quali siamo costretti, alternando parole a fatti: dalla distribuzione dei questionari sulle pressioni commerciali agli esposti alle Asl sullo “stress lavoro correlato”; dalle assemblee con nuclei omogenei di lavoratori (ex-assistenti alla clientela, gestori personal, gestori e addetti imprese, ecc..) ai volantinaggi alla clientela.

E tutto questo ha ovviamente generato un’attenzione ed un consenso ampio anche da parte di tante/i iscritte/i ad altre sigle che hanno apprezzato il nostro modo di operare e le nostre iniziative quanto meno rispetto agli imbarazzi ed all’inconcludenza di altri.

Non è che il problema vero che si vuol risolvere è questo?

Ognuno può ovviamente pensarla come meglio crede. Non ci piace scadere nella dietrologia e comunque sabbiamo bene di non essere “al centro del mondo”. Tuttavia le perplessità ci sembrano fondate anche se, fossimo inclini all’autocompiacimento, dovremmo essere soddisfatti in ogni caso. Sarebbe l’ennesima dimostrazione che laddove il sindacalismo di base è più forte non solo ottiene risultati diretti ma riesce talvolta ad influenzare le stesse dinamiche sindacali complessive. (E ovviamente lo diciamo in primo luogo a chi ci segue da territori dove siamo più deboli).

Ma naturalmente il punto centrale non è questo quanto la capacità di produrre risultati concreti per migliorare le condizioni di lavoro nostre e di tutti i colleghi. E allora, in questa prospettiva, non possiamo che ribadire che i nostri quadri sindacali e militanti più attivi sono sempre disponibili a collaborare, nei singoli punti operativi, con qualsivoglia iniziativa abbia finalità condivisibili e possa rivelarsi utile quanto meno ad un risveglio collettivo delle coscienze.

Riteniamo tuttavia di dover ancora una volta precisare che, quello che rende poco credibili le iniziative delle strutture locali dei sindacati “firmatari” sul tema delle pressioni commerciali non è né la tempistica né la (presunta) strumentalità e nemmeno la loro reale efficacia. E’ la profonda contraddittorietà con le scelte e le strategie delle “case madri” soprattutto se si è contribuito a sostenerle e non si è mai fatta alcuna autocritica.

Ci limitiamo a tre esempi macroscopici.

  • La recente “verifica” tecnica dell’accordo sui percorsi professionali dell’ottobre 2015 (che ha confermato la farraginosità e la totale unilateralità aziendale nella gestione dei meccanismi che lo governano) nonché le esperienze che cominciano a maturare dalla sua concreta applicazione in filiale non possono che rafforzare il giudizio negativo che ne abbiamo sempre dato. Per le tante nuove “opportunità” che garantisce alla catena di comando aziendale e, d’altro canto, per il peso di flessibilità, incertezze e ricattabiltà che scarica proprio sulla filiera di vendita esso ci è sempre apparso pienamente funzionale al rafforzamento dell’efficacia dell’esercizio delle pressioni commerciali.

 

  • Anche l’accordo che introduce le assunzioni “ibride” (metà dipendente e metà promotore) è tutt’altro che neutro rispetto ai problemi di “clima aziendale” e di “vendita malata” e questo persino a prescindere dalla valutazione complessiva che ne diamo in quanto potenzialmente devastante per il futuro della categoria. E ricordiamo che è un fatto scandaloso e senza precedenti che i sindacati “firmatari” non abbiano indetto le assemblee né per informare né (tanto meno) per votare.

 

  • E’ ormai all’ordine del giorno il legame tra “pressioni commerciali” e salute psicofisica dei lavoratori. Per contrastare l’azienda efficacemente occorrono anche RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) autorevoli, liberi e riconosciuti. Eppure ancora pochi giorni fa abbiamo assistito allo scandalo di elezioni-farsa alle quali non solo hanno potuto partecipare esclusivamente le sigle “firmatarie” ma dove il loro inciucio preventivo non ci ha permesso nemmeno di selezionare i più meritevoli e scartare i più inutili di loro. X candidati per X posti. Disinteresse generale, percentuale di votanti bassissima, credibilità zero. Tutti eletti sia quelli bravi sia i nullafacenti.

 

E’ tempo di 730. Frotte di sindacalisti, di alcuni dei quali si erano perse le tracce dall’anno scorso, si aggirano tarantolati nel fare la spola tra scrivanie e CAF, con in tasca qualche tessera in bianco pronta alla bisogna. E’ l’occasione buona per chiedere loro cosa pensano di accordi sbagliati, assemblee sparite e diritti scippati.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo RSA Torino e Provincia

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