Il 14 settembre Carige ha reso noto un aggiornamento del piano industriale al 2020,
in sintesi una nuova cura “lacrime e sangue”. Altre 63 filiali da chiudere, in aggiunta
alle 58 già chiuse tra il 2016 e luglio 2017. 842 dipendenti in esubero, con la
previsione di scendere dai 4.742 attuali ai 3.900 finali (in pratica uno su cinque
viene messo fuori). Esodi incentivati, part-time e cessione di attività gli strumenti
individuati per portare l’azienda in utile già nel 2018, razionalizzando la rete e
facendo “efficienza operativa”. A latere un taglio delle obbligazioni subordinate di
entità ancora sconosciuta ed un aumento di capitale da 560 milioni di euro dall’esito
incerto, visto che l’esigente famiglia Malacalza, azionista di riferimento dopo i
disastri dell’era Berneschi, ha già perso nell’investimento in Carige 230 milioni di
euro e non sembra intenzionata a mettere altri soldi, né assistere indifferente al
diluirsi del suo 17,8% di quota. Nell’immediato, vendita dei pochi gioielli di famiglia
rimasti, come l’immobile che ospita la sede di Milano e che dovrebbe fruttare oltre
100 milioni di euro, per fare un po’ di cassa a breve.
Persino il segretario della FIRST-CISL si è sentito in dovere di intervenire nella
vicenda Carige:
“Siamo stupefatti che, nell’individuare quale elemento fondamentale di rilancio della
banca la presenza di una base di clienti resiliente e fedele, ci si accanisca contro i
lavoratori, ossia coloro che hanno permesso che questa fedeltà si mantenesse,
rimediando ai danni reputazionali provocati dalle cattive gestioni dei
vertici”.“Volontarieta’ e sostenibilita’ sociale devono essere i punti fermi della
gestione delle ricadute occupazionali – aggiunge Romani -, mentre e’ chiaro che
non ci sono spazi per ulteriori sacrifici retributivi in una banca che ha gia’ un livello
di costo unitario del personale al di sotto della media di sistema in virtu’ dello
straordinario senso di responsabilita’ mostrato in questi anni dai lavoratori e dal
sindacato.Piuttosto – conclude Romani -, osserviamo che ancora una volta ci
troviamo di fronte a stantie formule basate sul taglio di dipendenti e di filiali, sulla
cessione degli npl, su esternalizzazioni di professionalita’ e sulla mera
riorganizzazione dei processi e dei modelli organizzativi, mentre poco o nulla si
innova dal lato dei prodotti e dei servizi”.
Non c’è da stupirsi se viene sempre chiesto ai lavoratori di sacrificarsi: sono l’unico
soggetto che ha una rappresentanza sempre disponibile a cedere. I soci non
accettano di tirare fuori nuovi soldi, le autorità di governo accettano i diktat dell’UE
e le conseguenze del bail-in, le altre banche sono impegnate a tirarsi fuori dai guai
per conto loro, la Banca d’Italia sostiene di aver vigilato bene, il presidente dell’ABI
Patuelli professa ottimismo, sull’onda del mantra ”la crisi è finita”.
Per le sorti di Carige varrebbe la pena prendere in considerazione ipotesi di scenari
avversi e la necessità di puntare su soluzioni istituzionali sul modello Monte dei
Paschi di Siena, per prevenire disastri come nel caso delle banche venete. Anche
tra catastrofi abbiamo dovuto purtroppo imparare a distinguere…

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Carige

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