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Smart working: prime valutazioni

Il massiccio ricorso allo Smart Working realizzato dall’inizio dell’emergenza in tutto il mondo del lavoro ha coinvolto anche le banche.

Si è aperta da tempo la discussione sulle caratteristiche di questa modalità lavorativa, che ha assunto anche definizioni terminologiche diverse: lavoro agile, telelavoro, “lavoro da casa”.

Un’analisi critica dell’organizzazione del lavoro deve cogliere l’aspetto innovativo dello strumento, ma anche i rischi connessi al vecchio “lavoro a domicilio”.

Per provare a capirne di più abbiamo inviato, nello scorso mese di ottobre, un questionario ad un campione di lavoratori di Intesa Sanpaolo, come parte di una più ampia ricerca, trasversale a numerosi settori produttivi.

In attesa dei risultati globali (che verranno inviati a lavoro concluso a tutti coloro che hanno indicato una mail per avere riscontro dell’esito), abbiamo cominciato ad elaborare le risposte dei colleghi di Intesa Sanpaolo.

Non si può escludere che a distanza di tempo, dopo l’ulteriore “prova” della seconda ondata, alcune risposte potrebbero essere diverse.

In ogni caso le nostre prime valutazioni invitano a riflettere e soprattutto ad agire per rilanciare una revisione contrattuale del lavoro agile, che tenga conto delle lacune presenti nell’attuale regolamentazione.

Buona lettura.

 

23 ottobre SCIOPERO GENERALE per USCIRE DALLA CRISI

 

La grave crisi economica scatenata dal coronavirus ha già avuto pesanti effetti distruttivi sulla produzione, sull’occupazione, sul reddito.

La rimozione degli interventi tesi ad attutire l’impatto sociale della crisi, come il blocco dei licenziamenti e l’estensione della cassa integrazione a tutti i settori in difficoltà, potrebbe portare in tempi brevi ad una drammatica resa dei conti.

Si tratta di uscire dalla crisi con un nuovo modello di sviluppo che abbia al centro una crescita sostenibile, sul piano sociale ed ambientale. Vanno ripensati modelli produttivi e orari di lavoro, per redistribuire il lavoro necessario, puntando ad una forte riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. E’ anche per questa strada che si sostiene la domanda, la produzione, i redditi da lavoro.

Vanno ripensati anche gli ammortizzatori sociali, in modo da garantire continuità di reddito e di buona occupazione, abbandonando forme contrattuali atipiche che riproducono solo precarietà. Si tratta di stabilizzare il lavoro dei giovani, favorendo il ricambio generazionale e quindi non sono condivisibili nuove riforme delle pensioni, alla scadenza di “quota 100”, che allunghino di nuovo l’età pensionabile.

Chiediamo di attuare una drastica riforma fiscale, che riduca la tassazione sui redditi da lavoro e da pensione, una riforma improntata a criteri di progressività, che equipari le varie forme di reddito, inclusi i profitti, la rendita immobiliare e la tassazione dei patrimoni. E’ l’unica via per correggere le diseguaglianze che sono cresciute in questi ultimi 30 anni e persino accentuatesi durante il COVID. La crescita esponenziale delle ricchezze dei miliardari in questi mesi è nota a tutti, proprio mentre si amplia l’area della povertà e di chi ha sempre di meno.

Le risorse finanziarie reperibili devono essere dirette alla ricostruzione del sistema dei servizi, a partire da scuola e sanità, con carattere di gratuità e universalità dell’accesso, recuperando quanto è stato invece dirottato in questi anni al settore privato ed al welfare aziendale.

Anche nei settori delle banche e delle assicurazioni, occorre fare emergere i problemi esplosi con il Covid e la necessità di un cambiamento sistemico. La spasmodica corsa verso prodotti di previdenza e sanità integrativa private va rimessa in discussione, perché solo il sistema pubblico, come ha dimostrato la crisi pandemica, è in grado di fornire cure adeguate per tutti e pensioni di base sufficienti.

Basta quindi alle pressioni commerciali e alla discriminazione della clientela per livello di redditività: un servizio qualificato di massa presuppone strutture ed organici adeguati. Occorre un corposo piano di assunzioni ed il presidio della rete filiali residua, con lo stop alle chiusure di sportelli.

Per tornare a crescere, per cambiare modello di sviluppo, per rilanciare un welfare pubblico, la CUB ha organizzato uno sciopero per l’intera giornata del 23 ottobre. Lo sciopero è stato indetto con l’osservanza delle norme di legge in materia e con i dovuti preavvisi.

In allegato le ragioni dello sciopero. Seguirà altro comunicato con il dettaglio delle manifestazioni previste.

 

La busta paga dal 1° luglio: un cuneo fiscale meno pesante

 

Dal 1^ luglio entrano in vigore le modifiche previste dalla Legge di Stabilità 2020 in merito alla riduzione del cuneo fiscale.

Il precedente “Bonus Renzi” viene abolito e sostituito da un meccanismo che estende la platea dei beneficiari, abbassando il carico fiscale sul reddito dei lavoratori dipendenti, ricompreso dentro determinati scaglioni.

Si tratta di un primo e insufficiente provvedimento, che dovrà essere seguito, per essere coerenti, da revisioni ben più radicali, tese a riequilibrare il peso del fisco tra le varie tipologie di reddito e rendita.

E’ una questione centrale che ha visto in questi anni il lavoro dipendente (e i pensionati) soggetto ad un crescente prelievo fiscale, mentre altre categorie di reddito godevano di abbassamento di aliquote e allargamento delle esenzioni.

Molta strada resta da percorrere, anche per alzare le pensioni più basse.

Nel commento allegato proviamo ad illustrare i contenuti della modifica e darne una valutazione generale.

 

 

La busta paga dal 1° luglio: un cuneo fiscale meno pesante

Si cominceranno a vedere nella busta paga di luglio i primi effetti della riduzione del cuneo fiscale, previsto nella legge di stabilità 2020, con stanziamento di una cifra di 3 miliardi di euro, destinata a raddoppiare dal 2021.

Accantonata l’insana proposta di ridurre ulteriormente la progressività dell’imposta tramite l’istituzione della flat-tax (cavallo di battaglia di tutte le proposte politiche a favore dei ricchi con redditi più alti), si comincia finalmente a dare qualche timidissimo segnale in favore dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi.

In sostanza dal 1° luglio viene sostituito con un nuovo dispositivo il precedente bonus Renzi, quello dei famosi 80 euro mensili (che erano pieni per chi stava sotto la soglia di 24.600 euro lordi annui e scendevano progressivamente, fino ad azzerarsi, al superamento della soglia di 26.600 euro lordi annui).

Il nuovo sistema consente di avere 100 euro al mese di risparmio fiscale per tutti coloro che stanno tra la “no tax area” di 8.174 euro ed il tetto di 28.000 euro lordi annui.

Per chi supera i 28.000 euro, e fino a 35.000 euro, scatta una detrazione fiscale basata sulla seguente formula:

480 + 120 x (35.000 – reddito)/7.000.

L’effetto pratico sarà quello di avere 100 euro al mese, che si riducono progressivamente, fino ad arrivare ad  80 euro al mese, al raggiungimento dei 35.000 euro.

Per chi invece supera 35.000 euro e fino a 40.000 euro di applica la formula:

480 x (40.000 – reddito)/5.000.

L’effetto pratico in questo caso è che si parte da 80 euro al mese, per arrivare a zero, al raggiungimento dei 40.000 euro lordi annui di reddito.

Ovviamente per chi supera i 40.000 euro lordi annui di reddito, da lavoro dipendente, non cambia nulla. Chi invece resta al di sotto della soglia come reddito da lavoro dipendente, ma la supera perché percepisce altri redditi, perde l’agevolazione in sede di dichiarazione dei redditi, oppure può segnalare preventivamente al datore di lavoro il proprio caso, in modo da non dover subire il conguaglio finale.

Chiarito il meccanismo di funzionamento, riteniamo necessario esprimere un commento che sintetizzi il contenuto “politico” della scelta fiscale del governo.

La novità rappresenta un’indubbia estensione della “platea” dei beneficiari del vecchio “bonus Renzi”, che da 12 milioni sale a 16 milioni di lavoratori. Si tratta di un primo, parziale, insufficiente correttivo di un sistema di imposizione fiscale, che nel suo complesso resta sbilanciato ed ingiusto.

E’ bene accolto naturalmente tutto ciò che va nella direzione di favorire i consumi  e la domanda aggregata, migliorando il reddito netto percepito da parte di lavoratori che vedono i propri salari fermi da troppi anni.

Nel nostro settore poi la sostituzione, partita ormai oltre 20 anni fa, di lavoratori più garantiti e pagati, con neo-assunti meno costosi, realizzata con gli esodi ed i prepensionamenti, ha contribuito ad abbassare la media degli stipendi e quindi a rendere fruibile la riduzione del cuneo fiscale, operanti per queste classi di reddito.

L’abbassamento degli stipendi è proseguito in questi anni con rinnovi dei contratti “sacrificati”, in particolare quello del 2012, ma anche quello del 2015, con l’abbassamento degli inquadramenti realizzato con i nuovi ruoli professionali contrattati in alcune banche, con il taglio di VAP e trattamenti di missione nella banche “in crisi”,  con l’assillante contenimento dei costi del personale ad ogni livello.

Tuttavia la battaglia per un fisco più giusto è ben lontana dalla conclusione ed anche da qualche significativa tappa intermedia.

Per capire la sproporzione è sufficiente osservare come cambia nel tempo la distribuzione del peso fiscale. Ad esempio nel triennio 2016-2018 il gettito dell’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche  che grava soprattutto su dipendenti e pensionati) è cresciuto del 5,7%, mentre le entrate dell’Ires (imposta sulle società che tassa il reddito d’impresa) sono calate del 4%.

L’altra grande voce delle entrate tributarie è l’IVA, che grava indistintamente sui consumi e quindi su tutti i cittadini a prescindere dal loro reddito o patrimonio.

E’ tempo quindi di cambiare radicalmente politiche: tassare gli utili d’impresa, i profitti, le rendite, i capitali ed il patrimonio, liberando il lavoro e le pensioni dal fardello di un fisco troppo oneroso. Per non parlare dell’enorme volume dell’evasione e dell’elusione, che lasciano indenne un gigantesco fatturato sommerso, quantificabile in almeno 250 miliardi di euro.

Si tratta dunque di un lungo percorso verso una giustizia redistributiva, che metta il fisco al centro, come principale terreno di confronto e di conflitto sulla ripartizione delle risorse prodotte dal lavoro.

Una questione presente da tempo, ma improrogabile ormai, vista la profondità della diseguaglianza sociale maturata negli ultimi decenni e la crisi verticale prodotta dalla pandemia.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

 

 

Un documento sulla vicenda Monte Pegni di Intesa Sanpaolo

Avevamo provato a sollevare la questione della cessione delle filiali del Monte Pegni di Intesa Sanpaolo quando era uscita la notizia, alla fine dell’anno scorso.

Ma, come in passato, la notizia dell’esternalizzazione di attività (e lavoratori) non scalda gli animi: tutti pensano (sbagliando) “a me non toccherà mai”.

La finalizzazione della cessione è slittata già un paio di volte a causa dell’emergenza coronavirus, ma la vicenda è tornata agli onori della cronaca per le lunghe file e qualche tumulto davanti alle filiali del Monte Pegni in varie città.

La vicenda ha dato lo spunto al nostro iscritto e storico dirigente sindacale Claudio Bettarello per scrivere un documento per conto del Partito della Rifondazione Comunista. Al di là dell’etichetta politica, nel merito lo scritto lo abbiamo trovato interessante e ve lo proponiamo come spunto di riflessione.

Dal punto di vista sindacale attenderemo che la cessione venga portata a termine per assumere le opportune iniziative a tutela dei nostri iscritti e dei lavoratori che vorranno aggregarsi.

CUB-SALLCA

 

FERMARE IL TAV E NON CHI LO COMBATTE

 

La sera del 30 dicembre i carabinieri hanno arrestato e tradotto in carcere NICOLETTA DOSIO, storica militante NO TAV di Bussoleno, 73 anni, già insegnante di greco e latino.

La magistratura torinese aveva infatti revocato la sospensione della pena per una condanna relativa a fatti del 2012 (un blocco stradale reo di aver causato un danno da 700 euro alla società autostradale).

In tutta Italia sono state indette immediatamente iniziative di protesta, presidi e cortei, cui la CUB ha dato la propria adesione con il volantino che alleghiamo.

Colpire una militante storica del movimento ha un evidente significato simbolico, per intimidire e minacciare chiunque intenda difendere il territorio ed opporsi all’utilizzo di fondi enormi per opere inutili, al servizio di interessi particolari e spesso inconfessabili.

Non è inutile ricordare come la decisione di procedere alla costruzione del TAV, contro la volontà delle popolazioni locali, rientri negli accordi tra organizzazioni criminali ed esponenti politici, come hanno di recente appurato le inchieste della stessa magistratura torinese che hanno portato ad una vasta operazione di polizia con l’arresto dell’assessore regionale Roberto Rosso. Questa inchiesta è solo la punta dell’iceberg di schieramenti molto nutriti e corposi.

Parafrasando Marco Revelli, possiamo affermare che “Non tutti i SI TAV sono mafiosi, ma certo tutti i mafiosi sono SI TAV”.

Mobilitarsi per Nicoletta significa quindi riaprire un dibattito vero sull’opportunità di portare a termine un’opera devastante e controversa, anti-economica, progettata su analisi di 30 anni fa, inadeguata ai bisogni attuali di mobilità e di trasporto delle persone e delle merci.

Difendere le lotte e chi le pratica significa riaprire la discussione politica sull’utilizzo delle risorse pubbliche e sul modello produttivo e logistico.

Nicoletta libera subito!

 

Per sostenere le spese legali e le iniziative del movimento NO TAV è possibile sottoscrivere su

Conto Bancoposta IBAN IT22 LO76 0101 0000 0100 4906 838
Intestato a DAVY PIETRO e CEBRARI MARIA CHIARA

 

IN ALLEGATO IL VOLANTINO DELLA CUB PIEMONTE 

CUB-SALLCA

 

VENERDI’ 25 OTTOBRE – SCIOPERO GENERALE

La CUB ha indetto, insieme ad altri sindacati di base, lo sciopero generale per l’intera giornata del 25 ottobre.

Le elezioni europee di maggio ed il cambio di governo in Italia di settembre hanno ridimensionato le aspettative di una rottura radicale del quadro politico.

Tuttavia il progetto europeo arranca ed i problemi strutturali restano irrisolti. La crisi morde anche il centro dell’eurozona e non bastano le politiche monetarie a tassi zero per fare ripartire il ciclo. L’ossessione per i parametri di Maastricht continua a mietere vittime, mentre servirebbero investimenti pubblici e privati, crescita salariale, espansione produttiva, piani per l’occupazione.

Il lavoro deve tornare al centro dell’agenda e solo le lotte possono conquistare il risultato: ottenere il cambiamento del modello produttivo e insieme ridurre le diseguaglianze sociali e salariali.

Anche nel settore finanziario, bancario, assicurativo dobbiamo riconquistare diritti e salario,arrestando la deriva verso la privatizzazione del welfare.

Lo sciopero è indetto con il rispetto dei preavvisi di legge e ricordiamo che tutti i lavoratori, anche aderenti ad altri sindacati, possono partecipare.

Saranno organizzate manifestazioni nelle principali città, di cui vi daremo dettaglio in una prossima mail a ridosso dello sciopero.

Nel volantino allegato (e riportato qui sotto) illustriamo le motivazioni e gli obiettivi dello sciopero. Buona lettura!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

 

Lo sciopero è indetto dalla CUB e da altri sindacati di base per cambiare in modo radicale la politica
economica del nuovo governo, che ripropone la linea dell’austerità imposta dall’Unione Europea, la stessa che ha prodotto crisi, recessione, sacrifici, disoccupazione, impoverimento.

Per evitare l’aumento dell’IVA il governo sta ipotecando una manovra di bilancio che non avrà alcun
carattere espansivo o anticiclico, a fronte di una situazione economica sempre più preoccupante per la crisidell’eurozona e i dazi commerciali imminenti: altro che crescita e sviluppo! Per i lavoratori c’è il rischio che tutto si riduca ad un’insignificante riduzione del cuneo fiscale, mentre le aziende avranno ingenti aiuti e risparmi contributivi.
Le risorse devono venire da una lotta vera all’evasione e da una patrimoniale seria.

Sono altresì a rischio, in futuro, anche le poche misure del governo precedente che, almeno sul piano
sociale, sembravano invertire la direzione di marcia: decreto dignità, reddito di cittadinanza, quota 100.
E’ ora di pretendere una svolta vera che porti a cambiamenti duraturi nelle politiche del lavoro:
– Forti aumenti salariali da esigere nei rinnovi contrattuali in corso;
– Cancellazione del Jobs Act e di tutti i provvedimenti che hanno precarizzato il lavoro;
– Riduzione dell’orario di lavoro per migliorare la qualità della vita e assorbire la disoccupazione;
– Cancellazione della Fornero e diritto alla pensione con 60 anni di età e 35 di contributi;
– Investimenti sul welfare e sui servizi per rendere casa, istruzione e sanità diritti sociali universali;
– Corposo piano di investimenti infrastrutturali per recuperare il territorio e riconvertire il modello
produttivo, secondo criteri di sostenibilità ambientale per energia e mobilità;
– Ripristinare la democrazia sindacale tramite una legge che imponga l’elezione dei rappresentanti e
restituisca parità di diritti sul luogo di lavoro a tutte le organizzazioni.

Nelle banche quest’occasione di mobilitazione deve affrontare i numerosi problemi della nostra categoria.
In primo luogo deve dare una scossa ad un rinnovo contrattuale che si trascina da mesi, con gravi ritardi,
incomprensibili diversivi e un distacco abissale tra lavoratori e sindacati trattanti. La trattativa deve portare a risultati economici tangibili, ma soprattutto a colmare la grande frattura che si è creata tra generazioni, dopo numerosi rinnovi che hanno penalizzato fortemente gli assunti più giovani.

In secondo luogo deve essere la dimostrazione visibile del forte scontento che vive la categoria per le
intollerabili pressioni commerciali che stanno deteriorando il clima di lavoro e che non hanno trovato argine in alcuno degli accordi firmati sinora.

In terzo luogo va usata anche per denunciare la politica di tagli, agli sportelli e agli organici, che stanno
desertificando interi territori, con impatti preoccupanti sul servizio, la clientela, l’occupazione.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

8 MARZO 2019: SCIOPERO GLOBALE

Per il terzo anno consecutivo, la rete internazionale delle donne NON UNA DI MENO si è mobilitata per una giornata di lotta a livello internazionale, in difesa dei diritti delle donne e contro la violenza.

La richiesta di indire lo sciopero nella giornata dell’8 marzo è stata accolta soltanto da parte dei sindacati di base.

Per noi non si tratta di un’occasione per omaggi eleganti, offerta di mimose, parole di condiscendenza e proclami politicamente corretti.

Noi preferiamo stare nella tradizione storica di una giornata proposta, nei primi anni del Novecento, sulla spinta delle prime rivendicazioni femminili socialiste, poi mitizzata nel ricordo di una strage (il rogo in una fabbrica di operaie tessili negli Usa del 1911 con 146 vittime) e infine scelta come data per ricordare l’inizio della rivoluzione russa (la manifestazione delle donne per il pane e per la pace dell’8 marzo 1917 a San Pietroburgo).

Preferiamo stare nella lotta delle donne, che dopo oltre 100 anni, si trovano ancora ad affrontare situazioni simili, in molte realtà produttive del capitalismo avanzato.

In Italia una donna su tre (tra i 16 e i 70 anni) è stata vittima della violenza di un uomo, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica e sessuale, ogni anno vengono uccise circa 200 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. 420 mila donne hanno subito molestie e ricatti sessuali sul posto di lavoro. Meno della metà delle donne adulte è impiegata nel mercato del lavoro ufficiale, la discriminazione salariale va dal 20 al 40% a seconda delle professioni, un terzo delle lavoratrici lascia il lavoro a causa della maternità.

Lo sciopero è la risposta a tutte le forme di violenza che sistematicamente colpiscono la vita delle donne, in famiglia, sui posti di lavoro, per strada, dentro e fuori i confini.

Con la convinzione piena che non può esserci miglioramento duraturo, se non attraverso una lotta comune, di donne e uomini insieme, lavoratrici e lavoratori, senza distinzione di genere, per una radicale trasformazione del modello produttivo e della cultura dominante.

Invieremo un secondo messaggio con il dettaglio delle manifestazioni in programma per la giornata del “LOTTO MARZO”.

Non prendete appuntamenti… E LEGGETE ANCHE IL VOLANTINO ALLEGATO

Inoltre, si può scaricare un video prodotto da CUB Donne cliccando su questo link

https://youtu.be/O36ZCeJ-gCg

 

Carige per noi

SULLA VICENDA CARIGE, RITENIAMO UTILE PUBBLICARE UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE DI CLAUDIO BETTARELLO, DEL DIRETTIVO NAZIONALE DELLA CUB-SALLCA.

In questi giorni, attorno alla vicenda Carige si sta alzando un gran polverone.

Sembra quasi che il punto principale, certo quello che appassiona di più, sia la misura del grado di continuità tra i provvedimenti annunciati dal governo gialloverde e quelli messi in campo dai precedenti esecutivi di centrosinistra.

I commentatori economici mainstream ironizzano perché la furia iconoclasta dei grillini nei confronti dei banchieri si sarebbe rivelata l’ennesima eresia a scadenza elettorale; il PD, attraverso il ghigno di Renzi, chiede addirittura le scuse ufficiali; il governo (ed i 5stelle in particolare) provano a fare spallucce sparando la solita bordata di frasi ad effetto. Del resto, quando si costruiscono spettacolari fortune politiche in un certo modo è davvero difficile non pensare che, appena possibile, gli avversari ti rendano pan per focaccia.

Ma anche “a sinistra” siamo messi piuttosto male se si osservano i commenti e gli slogan che sui social ricevono i maggiori consensi. Naturalmente è del tutto comprensibile la voglia di mettere alla berlina un governo complessivamente indecoroso e democraticamente pericoloso ma per questo forse sarebbe sufficiente la fulminante ironia del post “Comunque vi avevamo chiesto di salvare una barca. Una baRca, con la R.

La mia opinione è che oggi (ripeto oggi) sia del tutto prematuro esprimere un giudizio ponderato sulla politica bancaria del nuovo Governo (ricordiamoci che siamo di fronte a pallisti seriali di nuova generazione) e ancor di più valutare se le modalità di intervento in Carige segnino una continuità non solo formale ma sostanziale con le politiche a guida PD. Nel merito siamo ancora in una fase interlocutoria e, comunque, tra le due esperienze esistono vistose asimmetrie che rendono difficile istruire un paragone.

Il centrosinistra, come noto, porta sulle proprie spalle la maggior parte della responsabilità politica e storica per quello che è oggi il sistema bancario italiano.

Sin dagli inizi degli anni novanta è stato l’alfiere dei processi di integrale ed affrettata privatizzazione del settore, il sostenitore convinto di tutte le direttive europee in materia (che certo non hanno avuto un impatto neutro sui diversi sistemi nazionali), il difensore interessato delle autorità di controllo spesso distratte e talvolta colluse. Tra i banchieri ha sempre annoverato moltissimi amici e se ne è sempre ricordato.

Per limitarci ad analizzare un pochino più approfonditamente la fase nella quale tuttora ci troviamo (quella apertasi nel 2015 quando l’onda lunga della crisi globale del 2008-09 e le conseguenze delle politiche austeritarie europee iniziano a colpire pesantemente il sistema bancario italiano) i governi Renzi-Gentiloni si sono trovati ad affrontare un’impressionante serie di crisi aziendali oltre tutto all’interno di un contesto sistemico di elevata fragilità.

Lo hanno fatto accumulando molti errori di valutazione e gravi ritardi e cercando di utilizzare, alternativamente o in collegamento, tutti gli strumenti a loro disposizione in un quadro di regole europee che non si voleva (poteva) mettere in discussione.

A fine 2015 si comincia con la “risoluzione” di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara attraverso una complessa operazione che prevedeva anche il recepimento accelerato ed improvviso, nel nostro paese, della normativa sul bail-in. La scelta si rivela disastrosa soprattutto per il crollo di fiducia che determina nei confronti dell’intero sistema creditizio e che colpisce prioritariamente, aggravandone la situazione, le banche già più deboli.

Nei mesi successivi, sempre cercando soluzioni più o meno “di mercato”, si creano originali strumenti di sistema (basati su capitali privati) ma si impiegano anche fiumi di risorse pubbliche per provare a stabilizzare (invano) la situazione di Popolare Vicenza, Veneto Banca e, soprattutto, Monte dei Paschi.

Alla fine per le due banche venete arriva il “cavaliere bianco” (Intesa Sanpaolo) che, in cambio di garanzie e lauti finanziamenti, ne rileva solo le parti sane. Un’operazione da manuale in materia di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.

E apro una breve parentesi per sottolineare come in tutti questi casi (più in altri minori) nessuna delle banche “in crisi” sia stata effettivamente “salvata”: in poco tempo di loro non è restata traccia alcuna. Si dovrebbe parlare semmai di “liquidazione ordinata”. E anche per quanto concerne i posti di lavoro (ma non c’è tempo per parlarne in questa sede) è tutta da fare una valutazione obbiettiva sulla percentuale di quelli effettivamente salvaguardati.

Tornando alla cronaca, l’ultima partita (quella più rilevante e anche più dolorosa visto che si gioca più che mai “in casa” del centrosinistra) si chiude, dopo molti ritardi, con l’intervento pubblico diretto e la conseguente nazionalizzazione (e salvataggio) del Monte dei Paschi; una conclusione però che arriva più “per contrarietà” che per convinzione e senza alcuna volontà politica di sperimentare una gestione “diversa”.

Come ho già detto in passato “Finché il ruolo del Pubblico rimane emergenziale e sussidiario poco cambia, a ben vedere, nel cedere subito ad Intesa il cuore sano delle due banche venete o farlo tra dieci anni per quello di MPS a vantaggio di qualche fondo d’investimento internazionale o di qualche banca cinese (tanto per dire).”

A differenza di questa lunga (e chiarissima) storia, il governo gialloverde si trova invece a dover affrontare la sua prima crisi bancaria ed a doverlo fare in un contesto che presenta anche una significativa novità.

Carige è infatti la prima banca italiana a manifestare gravi difficoltà gestionali dopo essere passata sotto la sorveglianza diretta della BCE in base ai meccanismi previsti dall’Unione Bancaria. Non appena ne ha avuto l’occasione, la vigilanza europea si è mossa con tempestività commissariandola ma, nel contempo, confermando sul ponte di comando i due principali manager da tempo alla ricerca di “soluzioni di mercato”. Una chiara “indicazione” al governo italiano di quale fosse la direzione da intraprendere e l’urgenza del farlo.

Da questo punto di vista, al di là delle facili ironie, il fatto che ci siano voluti solo pochi minuti per approvare il decreto “salvacarige” non mi sembra certo un fatto negativo visto che mai come in questi casi il tempo è davvero denaro.

Le caratteristiche del provvedimento sono ormai note ed è inutile tornarci sopra nel dettaglio. Emerge abbastanza chiaramente la volontà di preannunciare la possibile messa in campo di una pluralità di strumenti e di significative risorse finanziarie con la finalità di stabilizzare la situazione della banca nel breve periodo frenando, per quanto possibile, la fuga dei depositi.

Se a ciò si aggiunge la disponibilità di SGA a rilevare un significativo pacchetto di crediti deteriorati e l’impegno del governo a supportare i commissari nella ricerca di una (difficile) soluzione interna o in quella di un possibile acquirente mi sembra che l’armamentario sia completo.

Sono gli stessi strumenti utilizzati di volta in volta o nel loro insieme dagli ultimi governi di centrosinistra? Certo, del resto non è mica facile inventarsene di altri. Il decreto è una scopiazzatura di quello Gentiloni su MPS? Probabile, ma non mi sembra una questione centrale al di là delle polemiche su coerenza e dintorni.

Quello che si può dire è che, al momento, siamo di fronte all’apertura di un ventaglio di possibili soluzioni molto ampio, all’interno del quale ci sono certo quelle più apprezzate dai Mercati e più favorevoli ai banchieri che dovessero farsi avanti ma anche quelle che nel nostro campo riteniamo essere più positive per l’interesse pubblico quali la nazionalizzazione.
Occorre quindi attendere.

Nel nostro metro di giudizio una cosa dev’essere chiara e mi pare che sia stata ben sintetizzata nel pur stringato comunicato di Rifondazione Comunista dove si afferma che: “Se si metteranno soldi pubblici, lo stato deve entrare nel capitale azionario, e avere un peso diretto nella gestione della banca, tutelando in primis il risparmio e l’occupazione degli oltre 4000 lavoratrici e lavoratori”. Come abbiamo già detto più volte non è una cosa di per se sufficiente a garantire una svolta ma è quanto meno un passaggio necessario.

Questo, naturalmente, se si è tutti d’accordo che la banca vada “salvata” e non si pensi invece che l’elemento di continuità deteriore con il centrosinistra (o con il centrodestra) consista nel solo tentativo di farlo. E’ un dubbio che in questi giorni mi ha assalito spesso e penso che sul punto sia davvero necessario fare chiarezza.

In primo luogo, i comunisti sono sempre stati (ovviamente e giustamente) a fianco di chi lotta per la difesa dei propri posti di lavoro (e di una capacità produttiva) che si tratti di una fabbrica metalmeccanica di 300 operai e impiegati o di una società di servizi di 50 precari.

In questi casi si finisce sempre per sollecitare l’intervento degli enti locali o dello stato. Quando le cose vanno particolarmente male ci si accontenterebbe anche dell’acquisizione da parte di un concorrente più solido o dell’arrivo di un qualche serio padrone straniero, cinese o americano che fosse.

Da questo punto di vista sarebbe davvero incomprensibile che non si ritenga positivo, senza remora alcuna, il tentativo di salvare una banca che occupa più di 4mila persone (oltre all’indotto che anche in questi casi non è trascurabile).

Ma c’è ovviamente di più. Dovrebbe essere risaputo che una banca non è una fabbrica di caramelle (concetto che si ritrova anche nel vecchio motto secondo cui il banchiere è un mestiere troppo delicato per lasciarlo in mano ai privati).

Soprattutto quando ragioniamo di aziende con forte concentrazione regionale (come è il caso di Carige) si creano con il territorio reticoli di relazioni tali che un fallimento non può che avere gravissime ripercussioni sull’economia locale (nel caso poi già duramente provata).

E, naturalmente, ci sono pure i depositanti che certamente sono parzialmente tutelati, sino a 100mila euro a testa, dal Fondo di Garanzia (strumento peraltro gestito dai perfidi banchieri e mai sperimentato su così larga scala) ma ai quali, comunque, non mi sento di augurare di trovarsi di fronte ad uno sportello sbarrato quando volessero prelevare 100€ dal proprio conto.

Chiarito questo punto, io penso che in una vicenda del genere il compito di una forza comunista ed anticapitalista (e dei suoi militanti più preparati) dovrebbe essere quello di provare a spostare l’attenzione popolare dai siparietti politici e dai tecnicismi vari verso due questioni centrali che, se comprese, possono consentirci di fare dei passi avanti nella ricostruzione di una critica e di un’opposizione di massa al sistema attuale.

La prima concerne l’accertamento delle cause e delle responsabilità della crisi di un’azienda come Carige; la seconda verte sul che cosa dovrebbe/potrebbe fare una banca “nazionalizzata”. Naturalmente su entrambi i temi mi limito solo ad alcuni accenni.

Dal primo punto di vista la vicenda Carige (500 anni di storia e prima cassa di risparmio ad essere quotata in borsa nel 1995) è davvero emblematica, un po’ come quella del Monte Paschi. Ripercorrendola si trova di tutto. Gli equilibri imposti dal processo di privatizzazione all’italiana con il pubblico che deve lasciare spazio ai nuovi manager privati; la voracità e infine le malefatte dei piccoli capitalisti nostrani; gli intrallazzi con la politica (qui in primis di centrodestra); i prestiti agli amici degli amici; la folle corsa all’acquisizione di sportelli dei primi anni duemila alimentata dal mondo del business finanziario; il ruolo compromissorio e decadente della Fondazione (che nel 2013 possedeva ancora oltre il 46% del capitale) ma che non può reggere i successivi ripetuti aumenti di capitale (anche imposti dalle regole europee); la debolezza dei soliti manager riciclati alla bisogna e tanto altro ancora.

Sul dominus Berneschi, che ha guidato la banca per vent’anni, è sufficiente riportare (come fa Marco Bersani nel suo recente articolo “Quando la banca chiama non c’è Governo che non accorra”) un passaggio delle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Genova lo ha condannato assieme al suo braccio destro Menconi, rispettivamente a 8 e 7 anni di reclusione. Vi si legge infatti: “ … Il maggiore gruppo bancario ligure è stato condotto al progressivo depauperamento attraverso un minuzioso e costante disegno truffaldino, architettato da un comitato d’affari occulto, che come obiettivo aveva unicamente l’arricchimento personale. Un vero e proprio gruppo criminale che sfruttava le proprie posizioni apicali, aveva appoggi internazionali e si appoggiava sistematicamente su paradisi fiscali e banche offshore”.

Da vecchio perfido sindacalista mi limito solo ad aggiungere che Berneschi era talmente stimato non solo dalla politica e dalla curia ma dagli stessi suoi colleghi da fare pure una bella carriera in ABI. Era infatti uno dei vice del presidente Mussari (suo degno compare, distruttore di Monte Paschi) quando nel 2012 i banchieri imposero ai bancari (mal difesi) uno dei peggiori rinnovi contrattuali nella storia della categoria, chiedendo loro ulteriori pesanti sacrifici nell’interesse supremo (e comune) del rilancio del settore e del paese. Amen.

Ancora più importante, secondo me, è aprire una discussione sulla seconda questione, il che fare oggi di una banca commerciale sotto controllo statale. Fallimenti e ruberie delle gestioni private hanno infatti riaperto uno spazio nel contesto neoliberista e la possibilità di un ragionamento sul ruolo della finanza pubblica a partire dal quale occorrerebbe saper incalzare (e contestare) il governo gialloverde.

Marco Bersani nell’articolo già citato (e che pure non condivido integralmente) conclude correttamente così: “Ma oltre a tutto quanto detto sopra, resta una considerazione di fondo: quando si inizierà ad accompagnare ai salvataggi con soldi pubblici delle banche private, una strategia politica che rimetta il sistema bancario e finanziario dentro l’interesse generale e il controllo democratico e popolare?”

Interloquisce indirettamente un passaggio di un comunicato sulla vicenda Carige della Cub-Sallca, il sindacato di base dei bancari: “Una banca pubblica dovrebbe caratterizzarsi per un diverso modello di banca, che sia davvero utile alla collettività, che conceda credito a chi lo merita, che tuteli i risparmi dei clienti e non li saccheggi, dove il ruolo del bancario abbia un contenuto professionale qualificato, di reale consulenza al servizio dell’utenza e non sia quello di piazzista”.

Come ho già avuto modo di affermare in relazione alla vicenda MPS, ritengo che alcune coordinate d’azione possono essere individuate nella definizione di un “patto strategico” (tra azienda, lavoratori, sindacati e clienti) finalizzato alla cessazione delle pressioni commerciali e della vendita di prodotti inadeguati; nella conseguente ridefinizione della gamma di offerta (in primo luogo per quanto concerne i prodotti di risparmio e di tutela); nell’utilizzo preferenziale della banca pubblica per la canalizzazione dell’attività di Cassa Depositi e Prestiti e del flusso di finanziamenti agevolati di matrice nazionale o europea.

Tornando a Carige, spero sia stata definitivamente accantonata l’idea un po’ balzana che fosse MPS ad acquisirla. Ciò non toglie che, nel caso di nazionalizzazione, una regia pubblica (degna di questo nome) potrebbe facilmente individuare, nell’immediato futuro, interventi di razionalizzazione delle reti (sono due banche a radicamento territoriale contiguo) e messa a fattor comune di servizi che potrebbero aiutare entrambi i gruppi a risollevarsi.
Fermo restando che, a quel punto, gli utili resterebbero pubblici.

Torino, 10 gennaio 2019

Claudio Bettarello

SCIOPERO GENERALE DEL 26 OTTOBRE 2018

DA CUB SALLCA
A ISCRITTI/E, LAVORATORI/TRICI DI BANCHE E ASSICURAZIONI

Ricordiamo che i sindacati di base, tra cui la CUB, hanno indetto uno sciopero generale per l’intera giornata di venerdì 26 ottobre.
La piattaforma rivendicativa integrale è scaricabile dal sito www.cub.it (clicca QUI)
mentre il volantino di categoria è reperibile su questo sito (clicca QUI).
QUI trovate invece la locandina nazionale.

Per il settore del credito lo sciopero è indetto con regolare preavviso, in osservanza della normativa di legge in vigore.

Invitiamo ad aderire allo sciopero anche come risposta, nel nostro settore, al degrado complessivo delle condizioni di lavoro ed alle insostenibili pressioni commerciali che stanno subendo i lavoratori, in un clima aziendale sempre più deteriorato dalla smodata ricerca di utili dei piani industriali in corso di esecuzione.

Ribadiamo che allo sciopero, indetto dai soli sindacati di base, possono partecipare TUTTI I LAVORATORI e che compete alle aziende esporre i preavvisi. La mancata ottemperanza a questo obbligo è responsabilità delle aziende e non pregiudica il diritto ad aderire allo sciopero da parte dei lavoratori.

Vi segnaliamo le principali manifestazioni organizzate nella giornata di sciopero dalle organizzazioni sindacali aderenti:

Milano – Largo Cairoli – concentramento ore 9,30

Torino – Porta Nuova – concentramento ore 9,30

Firenze – Largo Annigoni – concentramento ore 9,30

Roma – Piazza Montecitorio – concentramento ore 9,00

Napoli – Piazza Mancini – concentramento ore 10,00

Taranto – Piazzale Democrate – concentramento ore 10,00

Palermo – Piazza Vittorio Veneto (Statua) Via Libertà – ore 9,30

26 10 2018 Sciopero Generale Sindacati di Base

 

Le principali sigle sindacali di base hanno indetto unitariamente uno sciopero per l’intera giornata del 26 ottobre 2018.

La piattaforma (versione completa sul sito www.cub.it) riprende i principali temi che sono al centro dell’iniziativa dei lavoratori in questi anni di pesante arretramento dei diritti e delle condizioni contrattuali nei vari settori.

In primo piano la richiesta di un consistente recupero salariale, a partire dai prossimi rinnovi contrattuali (tra cui quello del credito); la difesa del welfare pubblico; la riduzione di orario; il ritorno a pensioni decenti come limiti di età, contributi e importo degli assegni; il ripristino della democrazia sindacale; il rigetto degli accordi vigenti su contrattazione e rappresentanza; il rafforzamento di norme su salute e sicurezza; la salvaguardia del territorio e la bonifica dei siti inquinati; la difesa e lo sviluppo dell’occupazione stabile di qualità; la guerra alla guerra.

Nel settore del credito, investito da trasformazioni profonde sul piano tecnologico e organizzativo, occorre insistere sul controllo degli orari di lavoro effettivi (per evitare evasione fiscale e contributiva) e sulla prevenzione dello stress lavoro correlato (fortemente legato alle abnormi pressioni commerciali che i lavoratori subiscono).

Partecipare allo sciopero è il modo più efficace per esprimere il proprio disagio lavorativo in un clima aziendale sempre più esasperante.

Comunicheremo successivamente luoghi e orari delle manifestazioni.

 

CUB-SALLCA

 

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