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Gruppo Credit Agricole. COSA STA SUCCEDENDO NEL CAGS?

Sono passati poco più di 5 anni da quando Credit Agricole ha effettuato la cessione di ramo d’azienda verso il CAGS. 5 anni durante i quali i lavoratori della newco hanno continuato a portare avanti i loro compiti, sia ordinari che straordinari, in maniera egregia permettendo il concludersi, sempre nei tempi prestabiliti, di diverse operazioni di acquisizione e di riorganizzazione.

Ma, all’inizio dell’autunno, il responsabile dell’area infrastrutture ha organizzato una serie di riunioni per informare di un’operazione societaria che avrebbe potuto vedere l’avvio di una importante “partnership”!

Nei diversi incontri però i toni si sono smorzati, se nei primi si diceva che le approvazioni erano già arrivate da tutti i livelli della banca e mancava solo l’ok della proprietà francese negli ultimi si parlava di un progetto ancora in fase di studio, se nei primi non si escludeva una eventuale cessione della maggioranza del pacchetto azionario negli ultimi si rimaneva molto sul vago, se nei primi si diceva chiaramente che oltre a dare in appalto la “server farm” si sarebbe lavorato in team con colleghi di altre società negli ultimi ci si fermava alla cessione delle macchine e della loro  gestione.

E’ molto probabile che il responsabile abbia sentito la necessità di informare i lavoratori perché, in ogni caso, questi ne sarebbero venuti comunque a conoscenza in quanto le gare di appalto erano già in essere ed è altresì palese che lo stesso sia stato richiamato dall’azienda ed abbia abbassato il tiro negli incontri successivi.

Quello che non è così comprensibile è come le organizzazioni sindacali del tavolo aziendale abbiano richiesto informazioni, giustamente richiestegli dai lavoratori seriamente preoccupati da possibili operazioni che raramente portano benefici ma, molto più comunemente, sono foriere di mobilità ed esuberi, e si siano però “accontentate” delle rassicurazioni aziendali che “nessun progetto è in corso”.

E’ lampante che qualcuno stia mentendo o, come si dice a Parma, ballando nel manico!

Se è vero che è legittimo che le aziende pensino a come strutturarsi e che l’accordo di cessione di ramo d’azienda che ha costituito il CAGS sia “abbastanza” tutelante (l’abbastanza è dovuto al fatto che esiste un’opzione di rientro nelle aziende cedenti, ma vengono meno i km previsti dal ccnl per i trasferimenti e la dislocazione potrà avvenire “nell’ambito della regione di residenza o comunque maggiormente prossima…”), è anche vero che siamo di fronte ad una grave subalternità delle organizzazioni sindacali del tavolo e ad una pesante mancanza di trasparenza e di rispetto da parte dell’azienda nel tenere nascosto quanto si sta architettando sulla testa di chi dovrà in ogni caso subirlo.

A questo punto i lavoratori hanno 2 possibilità: o continuare come sempre sperando che le cose non vadano poi così male o iniziare a far sentire la propria voce, per esempio aderendo allo sciopero generale già previsto per l’intera giornata di venerdì 25 ottobre indetto dalla CUB insieme ad altri sindacati di base per cambiare in modo radicale la politica economica del nuovo governo, che ripropone la linea dell’austerità imposta dall’Unione Europea, la stessa che ha prodotto crisi, recessione, sacrifici, disoccupazione, impoverimento.

Lo sciopero è indetto con il rispetto dei preavvisi di legge e ricordiamo che tutti i lavoratori, anche aderenti ad altri sindacati, possono partecipare.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Credit Agricole

Fondo Sanitario Integrativo Intesa Sanpaolo: NESSUN TAGLIO PER NESSUNO SBLOCCHIAMO LE RISERVE, SALGA IL CONTRIBUTO AZIENDALE

La storia del Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo è vicino ad un’ennesima svolta.

Dalla fusione delle precedenti gestioni nel 2011, avvenuta in spregio alle norme statutarie dell’Ex Cassa Intesa, è sortita una causa che tiene tuttora bloccate ingenti riserve.

Lo squilibrio strutturale della gestione quiescenti è stata ripianata nel tempo dagli attivi della gestione dei lavoratori in servizio e dai risultati finanziari delle riserve.

Ma nel 2018 i mercati sono andati male e si vuole usare questo episodio per giustificare una revisione peggiorativa delle prestazioni per i quiescenti (ma non si esclude qualche intervento anche per gli attivi).

Proprio coloro che sono già stati penalizzati dalle revisioni precedenti e che trovano sempre meno conveniente restare iscritti.

Lo scadimento del servizio di Previmedical (su cui intendiamo tornare), segnalato da molti iscritti, colpisce in particolare proprio i pensionati, che hanno meno familiarità con le nuove tecnologie e più difficoltà nel seguire le richieste di rimborso (spesso cartacee).

Nel volantino allegato diffidiamo le parti in causa (azienda e sindacati) a procedere ad ulteriori peggioramenti ed avanziamo proposte alternative (tecnicamente sostenibili) per fare il contrario di quanto si propongono gli altri.

Teniamo gli occhi aperti e ricordiamoci che un giorno saremo tutti pensionati!


 

Fondo Sanitario Integrativo: NESSUN TAGLIO PER NESSUNO
SBLOCCHIAMO LE RISERVE, SALGA IL CONTRIBUTO AZIENDALE

Dopo essersi visti tagliare del 50% la quota differita, i quiescenti iscritti al Fondo Sanitario
del Gruppo Intesa Sanpaolo devono ora preoccuparsi di vedersi ulteriormente ridurre le
prestazioni o di dover sborsare ancora di più di quanto già versano.
Come avevamo già ipotizzato nel nostro precedente volantino, la perdita rilevata sulla
gestione finanziaria delle riserve, dovuta ai mercati finanziari a fine 2018, viene ora usata
come giustificazione per un intervento sulle condizioni economiche e/o sulle prestazioni
dei quiescenti.
Ricordiamo che, al netto della gestione finanziaria, il risultato previdenziale 2018, (dato
dalla differenza tra contributi e prestazioni, -€ 5.675.314) è peggiorato rispetto al 2017 (-€
4.857.218) di circa soli € 800.000, la metà del peggioramento rilevato nei precedenti anni.
Anche la spesa pro-capite per iscritto in quiescenza sembra sotto controllo, essendo
aumentata nel 2018 solo del 2,31%.
Se la gestione complessiva ha subito un significativo impatto nel 2018, bisogna anzitutto
ricordare che negli anni precedenti la gestione finanziaria aveva contribuito alla
creazione di un plusvalore che è stato accantonato. Attualmente le riserve del comparto
quiescenti ammontano a oltre € 35 milioni e solo negli ultimi due anni il surplus di bilancio
ha consentito maggiori riserve per oltre € 4 milioni. Perché non sono state utilizzate invece
di penalizzare gli iscritti?
Purtroppo, le regole di bilancio previste dallo Statuto prevedono forti limitazioni all’uso
delle riserve (ma tutti sanno bene che queste regole sono modificabili anche
rapidamente quando si vuole…). In altre parole: quando i mercati finanziari vanno bene
si accumula ma se vanno male non si utilizzano le riserve degli anni precedenti. Come
dire: la quota differita è legata alla volatilità dei mercati finanziari! Assurdo.
Ma allora perché tutta questa concitazione nel voler rivedere le regole, ovviamente in
senso peggiorativo?
Perché l’azienda si è preoccupata di produrre una serie di documenti che conducono
inesorabilmente alla necessità di intervenire, tagliando prestazioni o aumentando le
quote di partecipazione?
Tanto fumo e poco arrosto che distolgono l’attenzione dall’unico dato incontrovertibile:
il contributo aziendale è sceso di quasi mezzo milione di euro ogni anno.
Alcune simulazioni evidenziano un eventuale problema di sostenibilità non prima di 7/8
anni, ma certamente le dinamiche occupazionali porteranno sempre più verso una
riduzione della quota degli attivi sul totale degli aderenti. È quindi essenziale che venga
richiesto che l’Azienda continui almeno a versare quello che ha sempre versato, anche
se sarebbe da prevedere un progressivo aumento che tenga conto dell’oggettivo
incremento dei costi dell’assistenza sanitaria.
Che la gestione dei quiescenti sia strutturalmente deficitaria è indubitabile e infatti i
fondi sanitari si fondano sul principio di mutualità intergenerazionale. Proprio in questo
senso andrebbero poi cambiati i meccanismi di utilizzo delle riserve, che devono poter
essere utilizzate in casi come quello dello scorso anno, dove l’evidente volatilità dei
mercati finanziari ha avuto un impatto fortemente negativo!
Per quanto detto sopra, ci sembra evidente il tentativo aziendale di procedere con un
peggioramento dell’offerta che viene “venduto” anche come risposta (sbagliata) alle
proteste di alcuni quiescenti che hanno fatto notare come le contribuzioni siano troppo
onerose.
A nostro avviso è assolutamente prematuro agire in modo così drastico. Quello che le
Fonti Istitutive (per quanto questo termine non sia previsto sul piano normativo…)
dovrebbero fare è ben altro, ovvero:
– Ripensare l’uso delle riserve: l’attuale impostazione prevede un tetto massimo di
trasferimento alla gestione in caso di deficit, ma occorre modificare gli attuali limiti.
– Creare un nuovo fondo rischi nel quale far confluire gli extra-rendimenti della
gestione finanziaria per eliminare, o almeno contenere, volatilità avverse che si
possono realizzare negli anni futuri.
– Modificare le modalità di imputazione del risultato di esercizio sia in caso di surplus
(riserva e fondo rischi), che in caso di disavanzo, considerando separatamente la
gestione previdenziale (differenza tra contributi e prestazioni) dalle altre (finanziaria
in primis).
– Rivedere il meccanismo del contributo di solidarietà: il limite di trasferimento
definito in base al surplus complessivo della gestione degli attivi andrebbe rivisto
per consentire, con mercati negativi, l’utilizzo del neocostituito fondo rischi.
– Eliminare l’odiosa “quota differita”: se questo meccanismo aveva una sua ragione
nel momento dell’integrazione di numerosi colleghi infragruppo, ora la situazione si
è stabilizzata, è in buona misura prevedibile e opera entro margini sufficientemente
ampi per consentire una liquidazione immediata dell’intero importo rimborsabile.
– Ridare poteri al CdA: in questo momento, statutariamente, svolge un ruolo troppo
marginale, tenuto conto che è l’unico organo eletto da tutti gli iscritti.
Infine, sempre le Fonti Istitutive dovrebbero forse riconsiderare la loro posizione di
chiusura nei confronti dei ricorrenti nella causa che tiene sospesi 37 milioni di riserve
dell’ex Cassa Intesa. Il ricorso in Cassazione molto difficilmente sconfesserà i due
precedenti gradi di giudizio che hanno visto l’Azienda soccombere. Peraltro, anche i
ricorrenti, ex Consiglieri della Cassa, dovrebbero rivedere e attualizzare nell’attuale
scenario una proposta transattiva che possa avere un effetto concreto sul comparto dei
quiescenti. Inoltre, li invitiamo a porre massima attenzione al tentativo in atto di un
intervento statutario in emergenza e peggiorare ulteriormente la gestione dei quiescenti,
che vanificherebbe il loro tenace operato.
Come nota a latere, evidenziamo che le autoproclamate Fonti Istitutive si arrogano
comunque il diritto di modificare i diritti di iscritti per i quali non hanno un mandato di
rappresentanza… Per quanto possa sembrare a qualcuno noioso e ripetitivo, è un altro,
ennesimo effetto della cronica mancanza di democrazia e di rappresentatività nel nostro
settore.
In generale, in presenza di una progressiva tendenza allo smantellamento del welfare
sanitario nazionale, invece di toccare sempre le regole, sarebbe opportuno procedere
ad efficientare le prestazioni, eliminando palesi sprechi ed utilizzi ingiustificati al fine di
ampliare, e non restringere, le coperture assistenziali!
E poi ricordiamo a tutti gli iscritti attivi che salvaguardare i diritti dei quiescenti vuol dire
occuparsi del proprio futuro perché speriamo tutti di arrivare a far parte della gestione dei
quiescenti!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

INTESA SANPAOLO: NON C’E’ PACE PER LA RETE

 

E’ stata firmata in Intesa Sanpaolo una vera e propria girandola di accordi, tra cui l’accordo annuale sul Premio Variabile di Risultato (PVR), sul Sistema Eccellenza Tutela (SET), sulla Formazione Flessibile.

Torneremo a breve più in dettaglio su questi accordi, che non stravolgono il già discutibile impianto precedente, ma che vi aggiungono ulteriori elementi di complicazione, rendendoli sempre più indecifrabili. Capire i dettagli reconditi degli accordi sui sistemi incentivanti richiede tempo e applicazione: una vera e propria caccia al tesoro, che però si rivela inutile, perché il tesoro c’è solo per qualcuno, mentre alla maggioranza dei colleghi alla fine arriva una miseria!

Qui commentiamo invece la revisione del modello di servizio della BdT.

Il 25 settembre scorso INTESA SANPAOLO ha infatti comunicato di voler procedere, da gennaio 2020, ad una revisione del modello di servizio, che coinvolgerà tutta la clientela della rete filiali. L’impatto sarà più rilevante sulle filiali Personal, ma in realtà anche il Retail subirà un forte rimescolamento. Tutta la clientela verrà “riclassificata” e segmentata in base ai nuovi criteri definiti con l’utilizzo dei sistemi di Big Data ed anche gestori e consulenti ne seguiranno le sorti, con conseguenze non sempre gradevoli.

A clientela declassata corrisponderà personale demansionato?

Lasceremo mano libera all’azienda, come se l’organizzazione del lavoro fosse sua prerogativa esclusiva?

Per intanto, buona lettura…

 

INTESA SANPAOLO: NON C’E’ PACE PER LA RETE

Il 25 settembre scorso ISP ha annunciato una radicale riorganizzazione della rete filiali, cui è seguito il 9 ottobre l’annuncio di una nuova articolazione degli orari nelle filiali flexi. Entrambe
le misure prenderanno corpo a partire dal 20 gennaio.

Si tratta di un piano da far tremare i polsi, che metterà ancora più in crisi una rete filiali già
piegata da tagli al personale, chiusura di sportelli e riduzione del servizio. Il rischio è che,
ancora una volta, tutto passi senza reazione da parte dei sindacati “trattanti” e dei lavoratori maltrattati,
perché ormai è stata interiorizzata una situazione di caos permanente, in cui l’unica priorità
è sopravvivere a livello individuale.

Questa volta però la dimensione del disastro rischia di essere veramente imponente. Il progetto
dell’azienda punta a chiudere entro il 2020 altre 328 filiali, facendo scendere il totale finale a 2.770.
L’abbandono del territorio prosegue con ritmo inarrestabile. Ma la qualità del servizio che
resterà, dopo la riorganizzazione, sarà così scadente da lasciare legittimi dubbi sulla lungimiranza
del piano.

Infatti c’è l’esplicito obiettivo di ridimensionare i servizi alla clientela meno redditizia, fino al punto
di costringerla all’abbandono, per concentrarsi sui segmenti di maggior pregio, modificando in
peggio anche l’offerta per quella clientela intermedia che oggi rappresenta comunque la più
importante sorgente di ricavi aggregati.

Il nuovo modello modifica in profondità l’approccio commerciale e organizzativo della rete e
coinvolge tutte le filiali, ma ha ricadute particolarmente sensibili sulle filiali Personal.

In questo segmento vengono chiuse metà delle filiali (377 delle attuali 777) e metà delle Aree (45
su 90). I gestori Personal scenderanno da 4.750 a poco più di 3.000 (gli altri passeranno al Retail o
ad Impact, l’ex Banca Prossima). Resterà nel perimetro Personal solo la clientela definita “Upper
Affluent” con patrimonio di 250/500.000 euro e reddito netto > 50.000 euro, in portafogli con una
media di 130 clienti, non più “pesati” ma “contati”.

Tutta la clientela definita “Lower Affluent” con patrimonio > 75/100.000 euro o reddito netto >
35.000 euro “scenderà” nel Retail, dove i gestori saliranno un po’ di numero rispetto ai 14.700
attuali (ma la cifra esatta non è stata indicata….). Il portafoglio medio conterà 180/200 clienti. Le
Aziende Retail dovrebbero mantenere gli attuali criteri di gestione, in portafogli un po’ ridotti (250
clienti).

Oltre a questa gigantesca (e problematica) ridislocazione di clientela, cambieranno anche le
“regole d’ingaggio” perché solo la clientela Upper Affluent e Lower Affluent resterà inserita in
portafogli “statici”, mentre il resto della clientela finirà nella baraonda della portafogliazione
“dinamica”, con assegnazione mensile di liste di clienti da contattare, oppure semplice gestione
“reattiva” quando il cliente si presenta in filiale per qualche esigenza.

I clienti più digitali potranno essere seguiti da Gestori Remoti, che lavoreranno sui grandi numeri,
perché già ora possono arrivare ad avere 400 clienti a testa.

Da tutto quanto abbiamo detto, risulta evidente che la mazzata più rilevante viene riservata al
Personal, un segmento che ha prodotto, in questi ultimi anni, risultati di tutto rispetto nel quadro
reddituale della B.d.T.: minarne la tenuta può rivelarsi davvero improvvido.

L’attuale configurazione di 777 filiali (con 2.000 punti operativi, se si includono i distaccamenti)
scenderebbe a 400 filiali (e 1.220 punti operativi, con i distaccamenti), ripartite in 70 filiali a scala,
con almeno 6 gestori, e circa 330 filiali distribuite (che includono 2/4 punti operativi limitrofi di
almeno 2 gestori ciascuno).

La logica che guida questo disegno è riconducibile alla semplice e banale strategia di risparmio
sui costi, così come abbiamo già visto applicarsi nella revisione degli inquadramenti professionali
varata nel 2015, non appena si è partiti con il nuovo modello (separazione tra Retail e Personal).
Quel modello aveva prodotto pesanti contraccolpi sull’equilibrio aziendale, ma aveva perlomeno
creato dal nulla numerose figure di direzione filiali, assorbendo così, almeno in parte, il fenomeno
di sovra-inquadramento precedente. L’allungamento dei tempi per “salire di livello” (conseguente
all’accordo inquadramenti) ha poi compensato l’iniziale incremento di costo con un generalizzato
sotto-inquadramento del personale, prolungato nel tempo, con enormi risparmi per l’azienda.

Ora si va invece nella direzione opposta: si sopprimono 45 Aree e 377 direzioni di filiale. Che fine
faranno queste figure e questi ruoli professionali? Non potranno andare tutti in esodo,
presumibilmente…

Non sono certo solo i Direttori e i Capi Area a patire: sono in bilico tanti percorsi di carriera
per colleghi che già hanno dovuto confrontarsi, in questi anni, con meccanismi infernali,
incomprensibili, inspiegabili, dell’accordo inquadramenti. Certezza, trasparenza, esigibilità sono
sparite dall’orizzonte del lavoratore, calpestate da un’azienda che spesso viene meno agli impegni,
sempre vaghi e approssimativi, presi durante i colloqui gestiti dai suoi addetti del personale.

I lavoratori quindi dovranno gestire, da gennaio, carichi di lavoro sempre più pesanti (oltre 700
esodati andranno via al 31/12…), pressioni commerciali asfissianti, una clientela disorientata
dai continui cambiamenti e richieste di risultati impossibili.

A tutto questo si aggiungerà una revisione degli orari delle filiali flexi che, lungi dall’essere una
agognata conquista sindacale, sono un semplice adattamento alle esigenze commerciali
dell’azienda, che modula gli orari in base ai propri obiettivi. Alcune filiali torneranno ad aprire alle
8,05; per molte si passa all’orario continuato; si allungherà di mezz’ora l’orario del sabato e così
via: alla fine sembra prevalere un’estensione degli orari di sportello più che una loro contrazione!

Non si esce da questa situazione avallando ogni volta le scelte aziendali. E’ urgente l’apertura di
una vertenza generale che veda al centro la richiesta di assunzioni “normali”, cestinando
l’insensata opzione del contratto misto, che aggrava i problemi anziché risolverli. E insieme una
battaglia senza quartiere contro le pressioni commerciali e l’articolazione assurda degli orari di
sportello.

Fermare il declino è possibile, se difendiamo nei fatti l’idea di un modello di banca
dedicata ad una clientela di massa, con servizi adeguati al livello consentito oggi dalla
tecnologia e offerti con relazione professionale da personale competente.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

VENERDI’ 25 OTTOBRE – SCIOPERO GENERALE

La CUB ha indetto, insieme ad altri sindacati di base, lo sciopero generale per l’intera giornata del 25 ottobre.

Le elezioni europee di maggio ed il cambio di governo in Italia di settembre hanno ridimensionato le aspettative di una rottura radicale del quadro politico.

Tuttavia il progetto europeo arranca ed i problemi strutturali restano irrisolti. La crisi morde anche il centro dell’eurozona e non bastano le politiche monetarie a tassi zero per fare ripartire il ciclo. L’ossessione per i parametri di Maastricht continua a mietere vittime, mentre servirebbero investimenti pubblici e privati, crescita salariale, espansione produttiva, piani per l’occupazione.

Il lavoro deve tornare al centro dell’agenda e solo le lotte possono conquistare il risultato: ottenere il cambiamento del modello produttivo e insieme ridurre le diseguaglianze sociali e salariali.

Anche nel settore finanziario, bancario, assicurativo dobbiamo riconquistare diritti e salario,arrestando la deriva verso la privatizzazione del welfare.

Lo sciopero è indetto con il rispetto dei preavvisi di legge e ricordiamo che tutti i lavoratori, anche aderenti ad altri sindacati, possono partecipare.

Saranno organizzate manifestazioni nelle principali città, di cui vi daremo dettaglio in una prossima mail a ridosso dello sciopero.

Nel volantino allegato (e riportato qui sotto) illustriamo le motivazioni e gli obiettivi dello sciopero. Buona lettura!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

 

Lo sciopero è indetto dalla CUB e da altri sindacati di base per cambiare in modo radicale la politica
economica del nuovo governo, che ripropone la linea dell’austerità imposta dall’Unione Europea, la stessa che ha prodotto crisi, recessione, sacrifici, disoccupazione, impoverimento.

Per evitare l’aumento dell’IVA il governo sta ipotecando una manovra di bilancio che non avrà alcun
carattere espansivo o anticiclico, a fronte di una situazione economica sempre più preoccupante per la crisidell’eurozona e i dazi commerciali imminenti: altro che crescita e sviluppo! Per i lavoratori c’è il rischio che tutto si riduca ad un’insignificante riduzione del cuneo fiscale, mentre le aziende avranno ingenti aiuti e risparmi contributivi.
Le risorse devono venire da una lotta vera all’evasione e da una patrimoniale seria.

Sono altresì a rischio, in futuro, anche le poche misure del governo precedente che, almeno sul piano
sociale, sembravano invertire la direzione di marcia: decreto dignità, reddito di cittadinanza, quota 100.
E’ ora di pretendere una svolta vera che porti a cambiamenti duraturi nelle politiche del lavoro:
– Forti aumenti salariali da esigere nei rinnovi contrattuali in corso;
– Cancellazione del Jobs Act e di tutti i provvedimenti che hanno precarizzato il lavoro;
– Riduzione dell’orario di lavoro per migliorare la qualità della vita e assorbire la disoccupazione;
– Cancellazione della Fornero e diritto alla pensione con 60 anni di età e 35 di contributi;
– Investimenti sul welfare e sui servizi per rendere casa, istruzione e sanità diritti sociali universali;
– Corposo piano di investimenti infrastrutturali per recuperare il territorio e riconvertire il modello
produttivo, secondo criteri di sostenibilità ambientale per energia e mobilità;
– Ripristinare la democrazia sindacale tramite una legge che imponga l’elezione dei rappresentanti e
restituisca parità di diritti sul luogo di lavoro a tutte le organizzazioni.

Nelle banche quest’occasione di mobilitazione deve affrontare i numerosi problemi della nostra categoria.
In primo luogo deve dare una scossa ad un rinnovo contrattuale che si trascina da mesi, con gravi ritardi,
incomprensibili diversivi e un distacco abissale tra lavoratori e sindacati trattanti. La trattativa deve portare a risultati economici tangibili, ma soprattutto a colmare la grande frattura che si è creata tra generazioni, dopo numerosi rinnovi che hanno penalizzato fortemente gli assunti più giovani.

In secondo luogo deve essere la dimostrazione visibile del forte scontento che vive la categoria per le
intollerabili pressioni commerciali che stanno deteriorando il clima di lavoro e che non hanno trovato argine in alcuno degli accordi firmati sinora.

In terzo luogo va usata anche per denunciare la politica di tagli, agli sportelli e agli organici, che stanno
desertificando interi territori, con impatti preoccupanti sul servizio, la clientela, l’occupazione.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

CCNL ED ESUBERI UNICREDIT, LA COMMEDIA NON E’ DIVERTENTE.

 

Il secondo round di incontri sul ccnl, il 18 luglio,  è ruotato intorno al tema della digitalizzazione. Un tema dichiarato fondamentale nella piattaforma dei sindacati FTTN (firma tutto, tratta nulla), al punto da dedicargli circa 10 righe e rivendicare la creazione di una commissione mista.

In effetti la contesa si è accesa attorno all’appassionante dibattito se sia meglio un “osservatorio” (come suggerito dall’Abi) o una “cabina di regia” (come rivendicato dai SindacAbi). Trapela ottimismo sulla possibilità di trovare un accordo, come ipotizzato da First Cisl,  con la creazione di un organismo bilaterale….

Ma mentre le parti si aggiornavano al terzo incontro, esplodeva la notizia dei 10.000 esuberi che potrebbero essere dichiarati col prossimo piano industriale di Unicredit.

Si tratta di una voce, per ora priva di conferme e di dettagli, che ha scatenato le immediate reazioni dei sindacati  FTTN: “pronti a fare a cazzotti” ruggisce Sileoni della Fabi. “Il dottor Mustier deve sapere che contro quest’atto la Fisac  farà le barricate e per lui sarà un nuovo Vietnam”, incalza Calcagni.

Tutti potranno ricordare il livello di conflittualità che, sia a livello generale, sia a livello aziendale, questi sindacati hanno garantito in questi anni, per cui queste “sparate” non possono che provocare fragorose risate, ma c’è poco da ridere.

Andranno valutate attentamente le intenzioni di Unicredit quando queste verranno dettagliate, ma certamente una notizia del genere rischia di condizionare pesantemente il rinnovo del ccnl e di offrire una facile via di fuga ai nostri aspiranti “pugili”: mica si può chiedere la luna in presenza di rilevanti esuberi nel settore”.

Verificheremo quindi la strumentalità di questa fuga di notizie. Quello che si può osservare da subito è che i prodi manager di Unicredit, dai temerari ed ambiziosi progetti di acquisizioni clamorose in terra teutonica, sono passati in fretta ai più rassicuranti approdi dell’evergreen rappresentato dai tagli dei costi. Complimenti per la fantasia.

Il 30 luglio il terzo incontro per il CCNL non si è tenuto, ma L’Abi ha trasmesso un documento, ancora sul  tema delle nuove tecnologie, proponendo la creazione di un comitato bilaterale e paritetico.

I sindacAbi condividono l’idea ma non la sua realizzazione. L’appassionante dibattito proseguirà dopo la pausa estiva, il 23 settembre.

A parte le battute, su questo argomento i sindacati FTTN vogliono impedire “fughe in avanti” delle singole aziende con accordi di secondo livello fuori dalle regole nazionali. Forse un tentativo tardivo di impedire idee creative come quella di Intesa Sanpaolo, dove  sono partiti i contratti “misti”, con la figura ibrida di lavoratori part time che, nei giorni in cui non sono dipendenti, fanno i promotori a partita iva?? Però qualcuno a livello aziendale la firma l’ha messa a questa genialata!

Buone ferie a tutti/e.

Segreteria Nazionale CUB-SALLCA

Intesa Sanpaolo. Un bel volantino dei “firmatutto”, ma se l’azienda è cattiva perché firmano certi accordi?

 

Le esternazioni di Barrese nella sua ultima web cam, dove esprime la sua attenzione per il benessere dei lavoratori, ha offerto lo spunto per un graffiante volantino dei sindacati firmatutto. Condividiamo a tal punto i contenuti, che abbiamo deciso di divulgarlo, tenendo conto di alcune avvertenze.

Alcuni argomenti erano già stati oggetto di nostre lettere aperte ai vertici aziendali, ma ben venga che altri sollevino le stesse questioni.

Il volantino è fatto dai sindacati dell’Area Torino, quasi che i problemi di organico e di pesanti ritmi di lavoro siano esclusivi problemi di quest’area. Tale tesi era stata esplicitamente formulata in assemblee convocate prima dell’estate del 2018 e che dovevano portare ad una vertenza locale che non è mai stata aperta. A noi pare una sciocchezza, perché ci risulta che il malessere sia piuttosto diffuso a livello nazionale, ma magari ci sbagliamo: attendiamo notizie dagli altri territori.

E’ singolare che a lamentare organici allo stremo siano sigle sindacali che hanno appena firmato per un totale di 10.600 uscite (tra esodi e pensionamenti) a fronte di 1700 assunzioni(di cui 500 miste!!).Forse che i firmatari del volantino dissentono dalle scelte delle loro sigle nazionali? Forse pensano che tutte le assunzioni debbano essere concentrate su Torino? O forse confidano che le 10.000 risorse, promesse da Barrese per il piano di chiusure degli sportelli, risolveranno i problemi? Quindi basterebbe affrettare le chiusure, oltre quelle già previste a settembre…..oppure l’azienda pensa di risolvere i problemi continuando a trattenere al lavoro chi ha firmato per l’esodo, visto che a settembre ha annunciato che ne usciranno solo alcune decine?

Infine è singolare che lamentino che non si riescano a reggere i turni degli orari estesi. Ma chi ha firmato il ccnl del 2012 che li ha introdotti, senza neppure mettere qualche vincolo per evitare quello che sta accadendo?

Potremmo continuare a sollevare altre obiezioni, ma siamo disponibili ad accantonare le polemiche se dalle chiacchiere (il volantino) si volesse passare ai fatti: magari una mobilitazione ed uno sciopero se le condizioni di lavoro denunciate continuassero? Certo, potremmo anche farlo da soli, ma sicuramente l’azione sarebbe meno incisiva e pesa l’impossibilità per noi di poter indire assemblee.

Intanto segnaliamo a Barrese che il benessere dei lavoratori potrebbe migliorare se la Direzione Regionale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta si assumesse pienamente la responsabilitàdell’esperimento (che non è un esperimento) delle filiali dove si deve raccontare ai clienti che le casse sono chiuse (ma non sono chiuse). Si abbia il coraggio di spiegare ai clienti, con una comunicazione scritta, cosa sta succedendo, anziché dare indicazioni ambigue e contraddittorie ai lavoratori.

FONDO SANITARIO INTESA SANPAOLO E’ STATA LA GESTIONE FINANZIARIA A CREARE IL BUCO DI BILANCIO

Il Fondo Sanitario del Gruppo Intesa Sanpaolo ha chiuso il 2018 con un bilancio poco entusiasmante.
Mentre la gestione caratteristica subiva un lieve e fisiologico peggioramento, l’incauta gestione finanziaria ha causato perdite pesanti.
La gestione dei lavoratori attivi è stata ancora positiva, ma non sufficiente per coprire il disavanzo della gestione quiescenti.
Dopo il calo dei mercati del 2018, le quotazioni sono risalite ed il recupero è già avvenuto.
Tuttavia azienda e sindacati firmatari (le fonti istitutive) intendono usare questo scivolone temporaneo per rivedere al ribasso le prestazioni del Fondo e/o aumentare i contributi agli iscritti, soprattutto per quelli in quiescenza.
Sorretti da studi attuariali di parte, prospettano un futuro critico e avanzano proposte di modifica penalizzanti. Alla lunga non saranno solo i pensionati a pagare di più per avere di meno, ma anche i lavoratori in servizio.
L’età media degli iscritti sale perché l’azienda ha bloccato il turn-over: si assume troppo poco, rispetto agli esodi e pensionamenti incentivati.
L’azienda risparmia anche sul welfare e prova a scaricare su lavoratori e pensionati le conseguenze dello squilibrio tendenziale.
Non dobbiamo prestarci a questa presa in giro: non accetteremo supinamente accordi che peggiorano l’esistente. Il welfare è salario indiretto e la contrattazione non significa prendere atto delle decisioni aziendali…
Buona lettura!


volantino in allegato.

Per la prima volta nella storia degli enti previdenziali, agli iscritti in quiescenza non è stato versato
l’intero importo della quota differita, ma solo una quota parte, circa la metà. Sulla vicenda
continua a pesare un inspiegabile silenzio: nessuno informa i lavoratori di quanto è successo.
Il bilancio approvato dall’Assemblea dei Delegati a fine giugno toglie ogni dubbio: non è la
gestione caratteristica a creare il buco di bilancio di 4.4 mln di euro, ma la gestione finanziaria del
patrimonio del fondo sanitario, pari a oltre 130 mln di euro.
Infatti, il disavanzo di gestione, pari a 5,6 milioni di euro, che come avevamo previsto è e resterà
strutturale per la parte dei quiescenti, è aumentato di pochissimo (800.000€ in più) e, come al solito,
sarebbe stato coperto dal contributo di solidarietà proveniente dalla gestione degli attivi (il 6% dei
contributi versati). Si tratta di un aumento fisiologico, dovuto principalmente all’incremento degli
iscritti (1.400 in più), in quanto la spesa media per nucleo familiare è aumentata solo dell’1,5%.
La vera causa del disavanzo è rappresentata dagli oltre 4 milioni di euro di perdite che si sono
originati a causa della flessione dei mercati accusata nel 2018, che si sono scaricate in un calo
pesante della gestione patrimoniale di Eurizon, dove il Fondo ha investito. La perdita è stata
ripartita per 1,3 milioni di euro sulla gestione dei quiescenti e per 2,9 mln di euro sulla gestione degli
attivi. Quest’ultima, pur restando in attivo per 2,2 milioni di euro, non è bastata per ripianare con il
proprio contributo di solidarietà il disavanzo dei quiescenti: dai 6.8 mln di euro dello scorso anno si
è passati ai soli 2.2 mln di euro nel 2018 (il contributo di solidarietà non può superare l’avanzo di
bilancio).
In base allo statuto, il comma 7 dell’articolo 25 stabilisce che solo il 50% del disavanzo venga
finanziato dalle riserve (con il vincolo che non è possibile utilizzare più del 10% del patrimonio),
mentre il restante dovrà essere portato in diminuzione della quota differita: per questo motivo agli
iscritti della sezione quiescenti è stato erogato solo il 52,52% dell’ammontare atteso (dovuto?).
Da notare che il rimbalzo dei mercati nel primo semestre 2019 ha già fatto recuperare tutto: se
l’anno si chiudesse in questo periodo, la gestione finanziaria non creerebbe alcun problema e forse
contribuirebbe ad aumentare gli accantonamenti a riserva. Tuttavia un ente che deve chiudere il
bilancio a fine anno non può permettersi questa volatilità: bisognava intervenire prima, con
tempestività. La situazione di criticità immaginiamo fosse già nota ad ottobre, quando le prime
simulazioni sul fine d’anno avranno sicuramente evidenziato lo sbilancio e quindi ci sarebbe stato
tempo per intervenire e cercare di limitare, quantomeno, l’effetto sui quiescenti.
La situazione avrebbe dovuto ragionevolmente suggerire una revisione dell’attuale
regolamentazione, al fine di consentire un miglior utilizzo delle risorse accantonate nel tempo.
Probabilmente le Fonti Istitutive avrebbero potuto, ad esempio, modificare la norma che limita al
50% la possibilità di utilizzo delle riserve, lasciando unicamente il vincolo del 10% del Patrimonio.
Come sapete, quando si vuole gli accordi si fanno anche in pochi giorni, eppure nessuno ha fatto
nulla per cambiare lo stato delle cose, né l’Azienda, né tantomeno i sindacati firmatari. Sono stati a
guardare, forse sperando in un recupero dei mercati in extremis, che invece non si è realizzato?
E che ne è delle riserve (oltre 30 milioni di euro) ancora bloccate dalla causa in Cassazione per le
modalità irregolari con cui è stata sciolta la Cassa Intesa nel lontano 2011?
È comunque da stigmatizzare la posizione di alcune sigle sindacali che invece imputano alla
gestione complessiva il buco di bilancio, aprendo immediatamente ad interventi sul lato delle
prestazioni che saranno prevedibilmente peggiorative. Un bel servizio a favore di chi sponsorizza
l’utilizzo di polizze integrative, decisamente più economiche, ma che offrono normalmente
prestazioni largamente inferiori a quelle degli iscritti alle gestioni interne! Ovviamente nessuno ha
sottolineato come siano invece scesi di quasi mezzo milione di euro i contributi versati alla
previdenza integrativa da parte aziendale!
È evidente che le politiche di gestione del personale giocano contro: il blocco del turn-over
porta ad un tasso di sostituzione di 1 neo-assunto ogni 10 lavoratori esodati/pensionati. Calano i
lavoratori attivi e cresce l’età media. Aumenta il ricorso alle prestazioni sanitarie, proprio mentre il
servizio pubblico peggiora in qualità e grado di copertura. Senza fare allarmismo funzionale
all’intenzione dell’azienda di tagliare le prestazioni, bisogna ragionare in base agli interessi che
rappresentiamo.
I lavoratori attivi non devono subire rincari nei contributi pagati. I lavoratori in quiescenza non
devono subire tagli alle prestazioni, né essere costretti a pagare premi assicurativi costosi per
avere servizi peggiori.
Lo sfoltimento del personale ha comportato risparmi enormi per l’azienda: ci sono i margini per
un aumento del contributo datoriale. Da lì deve venire il ripianamento del disavanzo strutturale, se
e quando davvero ci sarà. Su questo si misura una vera politica di welfare ed un reale sistema di
contrattazione: non sull’accettazione dell’esistente e l’irreversibilità delle decisioni aziendali!
Diffidiamo le fonti istitutive a intervenire sulle prestazioni del fondo senza coinvolgere i lavoratori:
le proposte devono essere discusse in una tornata assembleare prima di siglare qualunque
accordo peggiorativo. E’ ora di finirla con i mandati in bianco ed il controllo totale sugli enti,
imposto anche con la revisione liberticida dei regolamenti elettorali, per interdire ogni presenza dei
non allineati.
Per quanto riguarda il servizio agli iscritti nel corso dell’Assemblea dei Delegati ed in C.d.a,
abbiamo evidenziato come ci vengano segnalate difficoltà nella presentazione della
documentazione per i rimborsi e tempi di liquidazione decisamente migliorabili. Su questo punto
abbiamo segnalato l’opportunità di introdurre ulteriori statistiche relative al servizio erogato dal
fornitore (service) al quale molti imputano la causa dei disservizi.
Infine, sempre in quella sede, abbiamo espresso apprezzamento per le campagne di
prevenzione finora svolte, ma che ci sembrano ancora quantitativamente insufficienti.
Annualmente le campagne coinvolgono poco più di 1 su 4 degli 80.000 iscritti e considerando le
dimensioni raggiunte dal Fondo si dovrebbe fare di più. Ad esempio, è comune a molti Fondi
Sanitari la possibilità di usufruire di predefiniti check up periodici, in ambito eventualmente di day
hospital, con copertura lavorativa della giornata degli esami. Sarebbe un buon investimento,
anche in termini di risparmio nelle prestazioni future: e potrebbe anche documentare le
conseguenze dello stress lavoro-correlato, in un clima aziendale sempre più pesante!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

Intesa Sanpaolo. Esodi, la grande fuga prosegue

Come noto, dopo le modifiche pensionistiche introdotte dal governo in carica (sterilizzazione dell’aumento dell’età pensionabile per la speranza di vita, quota 100, ecc.), Intesa Sanpaolo si era detta disponibile a prendere in considerazione nuove domande di pensionamento e di esodo per chi, in seguito alle modifiche citate, poteva rientrare nei parametri previsti dal precedente accordo sugli esodi.

L’azienda aveva posto dei paletti sui nuovi posti disponibili: non più di 1000 Pensionamenti e di 600 esodi. Ebbene, le domande pervenute sono state circa 1300 per entrambi i casi!!

La situazione dovrà ancora essere valutata, anche perché pare siano giunte domande anche da parte di chi non aveva i requisiti neppure con le nuove norme.

In attesa quindi delle riflessioni che verranno fatte e delle relative decisioni al riguardo, una domanda si pone: ma i vertici aziendali, che straparlano di “banca più bella del mondo”, si interrogheranno mai sul successo strepitoso che ottengono le offerte di andarsene tra i colleghi??? Quale migliore indagine di clima (pure gratis) di questa?

CUB-SALLCA Intesa Sanpaolo

RINNOVO CONTRATTO BANCARI: SI PARTE CON LE SLIDES, UN CLASSICO…

Il primo incontro tra la parti, avvenuto il 3 luglio, si è tradotto nella presentazione da parte di ABI del quadro economico finanziario che fa da cornice al rinnovo. Nelle parole del capo delegazione Poloni: “ABI ha presentato oggi un aggiornamento e approfondimento dello scenario economico di riferimento, attuale e prospettico, all’interno del quale le banche si posizionano in modo diversificato”. In altre parole, ci sembra di capire, alcune banche sono ben messe e potrebbero pagare aumenti di rilievo, ma il grosso del settore è ancora, o sarà presto di nuovo, in seria difficoltà, quindi concederemo qualcosa con molta prudenza…

Per intuire il contenuto del documento ABI, visto che le slides non sono state diffuse, dobbiamo basarci sul resoconto del Sole 24 Ore e sulle dichiarazioni pubbliche dei dirigenti sindacali presenti. Il Sole 24 Ore, citando Prometeia, aggiorna le previsioni sugli utili bancari del biennio 2019-2020: si scende da 28 miliardi a poco più di 20 miliardi. Sono 7,6 miliardi in meno, rispetto al dato di maggio 2018, una visione molto più realistica rispetto a piani industriali campati per aria…

In un video la Uilca rivela che il documento parte dalla contrazione del commercio internazionale, passa per la descrizione del basso tasso di crescita dell’economia e arriva alla poco brillante situazione del settore. Settore investito da nuovi competitori, attanagliato da una bassa domanda di credito, regolato da normative europee sfavorevoli e sbilanciato sul sostegno alle necessità finanziarie del settore pubblico: la previsione è di un futuro “nuvoloso”.

La Fabi, per bocca di Sileoni, fa leva su questo quadro poco ottimistico per sostenere che l’unico investimento da fare, nel contesto dato, è quello sul fattore lavoro e quindi arriva alla conclusione che la richiesta economica presentata (200 euro al mese in media) è persino insufficiente per remunerare correttamente i lavoratori.

Colombani, segretario First Cisl, sottolinea l’innegabile aumento di produttività registrato nel settore, dove sono diminuiti gli addetti, ma sono saliti i volumi e quindi i ricavi e gli utili pro-capite.

Le dichiarazioni della Fisac assumono toni ancora più battaglieri, puntando alla difesa di interessi più generali. Dopo aver ricordato che la logica dei numeri, proposta da ABI, tende a far dimenticare “che ci sono lavoratori giovani e residenti nelle grandi città che faticano ad arrivare alla fine del mese”, la Fisac punta alto: “Per noi, lo ricordiamo, la questione è relativa alla redistribuzione della ricchezza rispetto alla remunerazione dei capitali finanziari che le banche impavidamente e spavaldamente assicurano ai propri azionisti”.

Infine, con formulazione leggermente sgrammaticata, Calcagni accenna addirittura all’alleanza tra lavoratori, consumatori e risparmiatori: “Mi auguro che ABI riesca a comprendere le nostre richieste elaborando un messaggio positivo per il Paese tutto, che complessivamente lo ricordiamo, conta decine di milioni di risparmiatori. Viceversa tutto il sindacato unirà le proprie forze affianco a clienti e i consumatori per farlo capire ad ABI”.

Sembrerebbero esserci i presupposti per un rinnovo che vola alto.

O sarà solo retorica per caricare le truppe?

Nel prossimo incontro, previsto per il 18 luglio, si dovrebbe cominciare ad entrare nel merito delle richieste. Probabilmente saremo ancora fermi alla melina di inizio partita, ma non potrà durare così a lungo…

CUB-SALLCA Segreteria Nazionale

ELEZIONI FONDO PENSIONI INTESA SANPAOLO: UN RISULTATO SCONTATO, UNA (NON) PARTECIPAZIONE CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERE

 

Le elezioni per il Fondo Pensione del  Gruppo Intesa Sanpaolo si sono concluse e tutti i 10 candidati per i 10 posti sono stati eletti!

Risultato ovvio e scontato fin dall’inizio, ma quello che non leggerete nei comunicati delle sigle sindacali firmatarie è come il successo elettorale sia stato supportato solo dal 17% degli aventi diritto al voto!! Mai nella storia degli enti del welfare la percentuale di adesione era stata così bassa.

Le preferenze raccolte dai candidati sono praticamente le stesse che avevano raccolto nelle ultime elezioni di uno solo dei fondi confluiti : il fondo ha ora più del doppio degli aderenti, ma i votanti sono invariati

È evidente l’importanza che ha assunto il welfare aziendale nella vita dei colleghi ed inoltre la contrattazione sindacale è sempre più incentrata sulla retribuzione indiretta: eppure solo una risicata minoranza di colleghi ha deciso di spendere 30 secondi per fare qualche clic in una procedura guidata decisamente elementare … Peraltro, visto l’imbarazzo, anche i risultati sono stati opportunamente resi poco visibili ed ancora non sono stati pubblicati dati complessivi. Il dato di adesione non compare mai nei comunicati sindacali, peraltro meno enfatici del solito, e chi lo volesse calcolare dovrebbe annotarsi il numero dei votanti (12.091) comparso nell’unico documentino pubblicato sul sito (più scarno del già essenziale estratto finora pubblicato) e poi andare a cercare il numero degli aventi diritto (70.569) in una precedente comunicazione, quella dell’avvio del processo elettorale. Comodo! Inoltre, non è noto il numero delle schede bianche, che potrebbe anche essere letto come una scelta cosciente per quanti non abbiano voluto esprimere un voto per una lista bloccata … Infine come al solito, non viene data nessuna scomposizione del voto, neppure per società.

Dire che sono state elezioni “in sordina” è un eufemismo …

Come anche in passato, hanno sicuramente contribuito alla scarsa partecipazione  sia l’atteggiamento dei colleghi, poco attento alle questioni previdenziali (per molti, molto “di là da venire” …), sia l’ormai rassegnato processo di delega incondizionato verso le sigle sindacali. Ricordiamo, però, che non più di un anno fa, nelle ultime elezioni del Fondo Sanitario,i votanti erano stati oltre 23.000, ovvero quasi il doppio, su un numero di aventi diritti di soli 63.000 colleghi …E’ quindi evidente come alla bassa affluenza abbiano contribuito anche altri fattori.

Un elemento che ha caratterizzato queste elezioni è stata la completa assenza di ogni forma di campagna elettorale. I firma-firma hanno inviato mail solo ai rispettivi elenchi di iscritti ed infatti siamo passati dal martellamento di mail delle ultime tornate elettorali al silenzio più totale. I non iscritti ad un sindacato hanno ricevuto solo informative “ufficiali” da parte delle strutture del Fondo Pensione. Evidentemente l’assenza di competizione elettorale non ha consentito di portare all’attenzione dei colleghi un confronto sui temi concreti che avrebbero dovuto contribuire a sviluppare. Nessuna organizzazione sindacale può vantare di essere riuscita a far votare più di 1 o 2 iscritti su 7Una debacle anche interna, che non può che essere ricondotta alle scriteriate trovate tattiche sindacali che, nonostante le ampie possibilità a disposizione, si limitano a mantenere un controllo di facciata, in assenza di ogni reale mandato da parte dei colleghi. Ed il distacco dalla base dei lavoratori si amplia ulteriormente …

Il listone bloccato e l’assenza di campagna elettorale sono anche conseguenze delle indecenti limitazioni introdotte alla presentazione di liste alternative, che hanno tolto pure quel poco di confronto che in passato aveva contribuito ad aumentare il coinvolgimento dell’elettorato sulle questioni del Fondo. Per chi non avesse letto i nostri precedenti volantini, ricordiamo che per presentare una lista alternativa andavano raccolte ben 3.528 firme di colleghi in circa un mese! Nelle ultime elezioni per il Fondo Sanitario erano sufficienti 1.851 firme, mentre ora il doppio! Un indecente accordo firmato due anni fa ha aumentato al 5% degli aventi diritto (e c’era anche chi proponeva l’8%!) il numero di firme necessarie per la candidatura ed ha sostanzialmente annullato ogni possibilità di democratica partecipazione alle tornate elettorali. Come si può ritenere possibile raccogliere un numero simile di firme, senza alcuna agibilità, su un elettorato strutturalmente distribuito su tutto il territorio nazionale? È evidente la volontà di soffocare ogni voce fuori dal coro.

Da un certo punto di vista noi del Sallca dovremmo addirittura andare fieri:  pur con dimensioni ridotte rispetto alle altre organizzazioni e con scarse possibilità di incidere sul quadro nazionale, siamo riusciti a fare paura, tanto da rendere necessario introdurre una misura liberticida pur di tenerci fuori.

E’ curioso notare che la candidata più votata ha raccolto solo 2.726 voti e l’ultimo dei candidati eletti ha raggiunto lo stratosferico risultato di 746 preferenze! Ma noi (così come qualsiasi gruppo di lavoratori indipendente), solo per presentarci, avremmo avuto bisogno di oltre 3.500 firme …

Ricordiamo a tutti che da anni il Sallca eleggeva propri rappresentanti negli enti del welfare, eppure tutte le volte dobbiamo confermare la nostra rappresentatività tra i colleghi.. La nostra candidata al Fondo Sanitario aveva raccolto oltre 1.600 voti, eppure questa volta non è stato neppure possibile candidarsi.

La nostra scelta di non candidarci ha voluto sottolineare l’ennesimo furto ai nostri più basilari diritti, tra i quali quello alla partecipazione, e proprio per questo rivolgiamo l’ennesimo appello alle onnipotenti Fonti Istitutive perché correggano urgentemente queste norme liberticide.

Nonostante tutto quanto sopra, è il risultato finale di queste manfrine sindacalesi ad essere sconfortante: i lavoratori sono sempre più disinteressati rispetto alle vicende degli enti del welfare ed alla cronica mancanza di partecipazione si è ora associata anche una scarsa adesione alle discutibili politiche dei sindacali trattanti.

In un periodo di contrattazioni difficili, ricevere un sostegno così basso è ovviamente il più grande favore che si può fare alla controparte. Complimenti!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo