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INTESA SANPAOLO. FORMAZIONE: DOVE VUOI, QUANDO VUOI

Molti colleghi e colleghe avranno, forse, avuto la possibilità di vedere un video (contenuto in una mail inviata dal servizio Formazione) dove, tra le altre cose, appaiono signorine intente a fissare, con aria estasiata, un tablet aziendale mentre aspettano il bus o stravaccate sulla poltrona di casa.

L’idea che viene suggerita è che con i tablet dedicati alla formazione sarà possibile effettuare la stessa in ogni momento ed in ogni luogo. Peccato, aggiungiamo noi, che questa straordinaria opportunità dovrebbe essere in sostituzione delle ore di lavoro nel proprio punto operativo e non in aggiunta, come il filmato sembrerebbe suggerire.

 

Questa notizia va abbinata con quella per cui l’azienda ha illustrato, il 30 Marzo, ai sindacati firmatari, il progetto sulla distribuzione dei tablet ai colleghi per la formazione da casa.

Si tratta di 8000 tablet mentre per il 2017 l’azienda si propone di acquistarne altri 16000 per estendere sempre più questo sistema innovativo.

In un suo comunicato al riguardo, la Fisac Cgil afferma  che “è  stato ovviamente ribadito che la formazione flessibile” da casa va svolta in orario di lavoro.

 

Dirlo però non è sufficiente. Tutti sanno che il lavoro supplementare non compensato è un fenomeno diffuso, Basta leggere i resoconti sindacali dai territori per capire che la causale NRI imperversa. Anche lo smart work (lavoro da casa) si presta ad abusi difficilmente controllabili.

La soluzione del problema non è agevole, non sempre le denunce agli organismi che dovrebbero vigilare vanno a segno.

 

Nel caso dei tablet però si poteva, forse, fare qualcosa di meglio. Sempre dai comunicati dei sindacati firmatari si apprende che l’acquisto degli stessi è avvenuto con l’uso dei fondi del FCA.

Se non andiamo errati l’utilizzo di questi fondi richiede la firma di accordi sindacali. Ma allora, visto che per una volta un po’ di potere i sindacati firmatutto al tavolo lo avevano, perché non lo hanno usato per imporre clausole e vincoli sull’uso dei tablet in modo da garantire che la formazione a casa sia sostitutiva e non aggiuntiva rispetto all’orario di lavoro?

 

Inutile ricordare che la formazione è diventata un requisito indispensabile, in base all’ultimo contratto aziendale, per chi deve consolidare il proprio ruolo.

Dopo le assunzioni miste, in parte  come dipendenti e in parte come consulenti finanziari, che risolvono il problema per l’azienda delle pressioni commerciali (perche’ i consulenti pagati in base ai risultati si spremono da soli), questa “innovativa” iniziativa potrebbe risolvere per la banca il problema di come erogare formazione senza distogliere i dipendenti dal lavoro: semplicemente potrà essere una formazione fai da te, pagata dal dipendente con il suo tempo di vita, che si confonde e si unifica con il tempo del lavoro.

 

Per evitare tale esito, vista l’assenza di segnali di vita da parte dei sindacati  “ufficiali” che ormai nelle loro dichiarazioni evidenziano la loro impotenza, è necessario che i lavoratori si autorganizzino per far rispettare le regole. Non dubitiamo vi siano responsabili coscienziosi che stabiliranno turni per stare a casa a fare la formazione. Ma immaginiamo anche che vi sarà chi si limiterà a ricordare che la formazione va finita entro una certa data.

 

Dobbiamo vigilare e segnalare situazioni anomale: fare la formazione a casa, al posto di andare al lavoro e nel limite delle 7 ore e 30 minuti di adibizione dovrà essere la regola. Ricordiamo, inoltre, a chi non ha problemi di consolidamento del ruolo, che la formazione “obbligatoria” è da intendersi come obbligo a carico non del lavoratore, ma dell’azienda, che deve metterci nelle condizioni di fruirne durante l’orario di lavoro.

Deve diventare un impegno collettivo, responsabili … più “responsabili” compresi, quello di mettere un freno al lavoro supplementare non compensato e riprenderci gli spazi di vita che ci spettano, senza più  regalare ore di lavoro gratuito.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

INTESA SANPAOLO: QUESTIONARIO SULLE PRESSIONI COMMERCIALI SULLA RETE DI TORINO E CINTURA

Alla fine del 2016, su un buon numero di filiali di Torino e cintura, è stato distribuito un questionario, con poche domande (una decina) legate al tema delle pressioni commerciali e dei relativi problemi di salute.

Il questionario aveva l’obiettivo di raccogliere alcuni informazioni e fare conoscere meglio il lavoro del nostro sindacato, non aveva pretese scientifiche come un recente studio dell’Università di Pisa (reso noto dall’articolo di Gramellini, “stressato come un bancario”, comparso sul Corriere della sera del 15.03.2017), ma verosimilmente era più attendibile degli studi commissionati da Intesa Sanpaolo all’Università di Milano, che si concludono immancabilmente senza rilevare particolari criticità.

La distribuzione ha ricalcato quella di un precedente giro dei nostri quadri sindacali sulle filiali, durante il quale era stato diffuso il volantino “Lettera aperta a Stefanio Barrese” (infatti la prima domanda chiedeva se il testo era stato letto). Il recupero dei questionari compilati è stato affidato (salvo rari casi), all’”autogestione” di ogni punto operativo, con buoni risultati  in termini di tasso di restituzione.

Infatti il numero dei questionari compilati e ritornati è stato rilevante, superando le 300 unità.

Dati i criteri di distribuzione, non stupisce che il 92% abbia dichiarato di avere letto il nostro volantino e che di questi l’86% ne abbia condiviso i contenuti (evidentemente abbiamo rappresentato in termini realistici la situazione spesso drammatica del clima aziendale).

Subito dopo si passa alle domande sulle spinte verso gli obiettivi commerciali.

E’ interessante notare che, in una scala da 1 a 5,  il 52% colloca le pressioni del proprio punto operativo tra il 4 ed il 5 (e comunque con un 31% a livello 3), ma oltremodo significativo che questo dato aumenti ancora quando la domanda è riferita ai direttori di area:  il 62% dei colleghi  crocetta 4 e 5 (per un 20% di loro le pressioni sono intollerabili) ed il 26% si attesta sul livello 3.

Non è stato tempo perso ricordare ai lavoratori e alle lavoratrici che l’accordo sul sistema incentivante riferito al 2016 aveva alzato consistentemente la quota spettante ai direttori di area: il 63% non ne era conoscenza e supponiamo che non l’abbia presa bene…

I dati evidenziano qualche differenza tra filiali retail, personal e imprese, con le ultime due che danno risultati leggermente meno critici. Sarebbe peraltro interessante ripetere le domande oggi, dopo l’inizio scoppiettante del nuovo anno commerciale, per vedere se nel frattempo qualcuno non abbia già cambiato idea e si allinei al retail…

Interessante anche il dato sui problemi di salute legati allo stress lavoro correlato. In una scala da 0 a 5, la diffusione di questi problemi viene collocata dal 67% dei rispondenti tra 3 e 5 nel proprio punto operativo e la percentuale aumenta al 87% se riferito alla banca nel suo complesso. Anche in questo caso, nessuna pretesa di scientificità, ma una “percezione” molto forte della gravità del problema.

Alla domanda se i lavoratori e le lavoratrici dovrebbero coalizzarsi contro politiche commerciali troppo aggressive, il 64% risponde che sarebbe utile ma difficilmente praticabile, mentre quasi il 33% dice di sì e ci pare un bel dato da cui partire.

Allo stesso modo, alla domanda se la situazione lavorativa in azienda richiederebbe la risposta di un’azione di sciopero (e, soprattutto se c’è disponibilità ad aderirvi) oltre il 56% risponde in modo affermativo.

Quest’ultimo punto, che rappresenta un po’ il culmine di tutta l’indagine, è in sintonia con una voglia piuttosto diffusa di reagire, anche se questa si accompagna ad una richiesta di azione unitaria con sindacati che, a partire dalla fallimentare esperienza della casella “iosegnalo”, non mostrano una reale volontà di opporsi ad un sistema che, strutturalmente, poggia su un modello di servizio orientato a politiche commerciali aggressive. Ci riferiamo qui ai vertici dei sindacati firmatutto, restando ferma la nostra disponibilità a discutere e fare iniziative comuni con delegati di base degli altri sindacati che vogliano impegnarsi seriamente su questo terreno. Non a caso, anche nell’assemblea fuori orario del 9 marzo a Torino questo argomento è stato toccato più volte.

E’ ineludibile ormai un’iniziativa vertenziale, ben costruita da una tornata di assemblee, sul tema delle pressioni commerciali e del clima aziendale. Chiediamo ai lavoratori ed alle lavoratrici di aiutarci a spingere le organizzazioni sindacali, che hanno il potere di indirle in orario di lavoro,  di farsi carico di questo compito e passare dalle parole ai fatti.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.  Area Torino Intesa Sanpaolo

INTESA SANPAOLO. NUOVO FONDO PENSIONE A CONTRIBUZIONE DEFINITA PARTE 2 – LA GOVERNACE VA RIDISEGNATA

 

Ci sono molte cose ancora da fare, ma ci sono due punti in particolare sui quali vogliamo concentrare la nostra attività: sono quelli che caratterizzano la nostra presenza e che rappresentano la cartina di tornasole sulla quale andremo a valutare la nostra permanenza negli organi del Fondo.

Il primo aspetto è certamente quello di esercitare la massima pressione affinché questo CdA di nominati lasci spazio ad una rappresentanza realmente elettiva. Siamo infatti assai preoccupati che sia passato ben più di un anno ed ancora non siano nemmeno iniziati i contatti per definire modalità e tempi con cui indire democratiche elezioni dei rappresentanti dei lavoratori, come peraltro previsto negli accordi del 2015. Ricordiamo ai colleghi meno addentro alle questioni sindacali che tale contrattazione spetta unicamente alle organizzazioni che si autodefiniscono “istitutive” e non al CdA. Il termine istitutive è in realtà sostitutivo di “firmatarie di contratto”, in quanto è ormai ben chiaro a tutti (azienda in primis) che la nostra organizzazione sindacale è quantomeno altrettanto istitutiva delle altre, anche se ai tempi della nascita dei primi fondi pensione aziendali non eravamo presenti semplicemente perché ancora non esistevamo. Sono le antidemocratiche regole della rappresentanza sindacale, quindi, che non ci consentono di incidere direttamente su questo aspetto, anche se il nostro impegno sarà ovviamente rivolto a far si che le regole elettorali del nuovo Fondo consentano la più ampia partecipazione dei colleghi che vogliano auto-organizzarsi e una rappresentanza democratica e proporzionale.

Un secondo aspetto che riteniamo fondamentale cambiare è quello relativo alla gestione delle strutture del Fondo pensione. Nonostante la Banca abbia l’onere di garantire e finanziare le spese di struttura, occorre che venga data maggiore autonomia gestionale in capo all’ente previdenziale. Se è ovvio che la Banca voglia mantenere il controllo delle risorse, il CdA non può essere privo di voce in capitolo nel valutare l’adeguatezza delle strutture a disposizione e deve poter valutare l’operato quantomeno delle figure apicali (Direttore e primi riporti). A partire dalla nomina del Direttore, che come da consuetudine viene proposto dall’Azienda e sul cui nominativo si è sostanzialmente “liberi di essere d’accordo”, la stessa componente aziendale afferma che le risorse distaccate presso il Fondo Pensione sono in tutto e per tutto alle dipendenze del Fondo stesso. Se però le valutazioni, i premi, la carriera sono elementi che vengono gestiti unicamente dalla Banca, come tuttora avviene, è chiaro che, nella sostanza, il riferimento per chi lavora è l’Azienda e non il CdA.

Dopo aver ottenuto che vi sia l’alternanza nella nomina del Presidente del CdA (una volta appannaggio esclusivo dell’Azienda), occorre ora che anche la componente sindacale sia coinvolta nel processo di gestione delle risorse, in modo da consentire un effettivo controllo delle stesse, a prescindere da chi sostiene la spesa. Teoricamente, l’Azienda dovrebbe dichiarare il budget disponibile e poi lasciare che sia il Fondo stesso ad amministrare le risorse distaccate. Più concretamente, e come minimo, all’interno del CdA si dovrebbe costituire una commissione che si occupi delle questioni relative all’organizzazione ed alla gestione del personale, che svolge un ruolo fondamentale nella vita del fondo (i consiglieri passano, loro restano), e che dovrebbe contraddistinguersi per la piena autonomia operativa, senza alcun legame specifico con questa o quella componente. Potrebbe sembrare una questione marginale, ma in realtà l’indipendenza delle strutture, e dell’ente previdenziale in generale, è una garanzia per tutti e consentirebbe di conseguire una reale equiparazione tra le componenti aziendale e sindacale.

 

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INTESA SANPAOLO. NUOVO FONDO PENSIONE A CONTRIBUZIONE DEFINITA. PARTE 1 – DOVE SIAMO E COSA SI STA FACENDO

Habemus papam. Iniziano così due mail che ci sono arrivate successivamente alla riattivazione del sito del fondo pensione. Altre parlano di parto “trigemellare”. In effetti, come spesso succede per molti progetti di questa Banca, alle roboanti ed entusiastiche affermazioni dei grandi capi seguono poi lunghi e faticosi percorsi per chi deve nella realtà dei fatti far funzionare le cose. Trasferire decine di migliaia di posizioni previdenziali che si sono consolidate negli anni, soggette a legislazioni tempo per tempo vigenti, è stato ovviamente un percorso tutt’altro che semplice e lineare. Ad oggi sono pochissime le posizioni ancora oggetto di verifica e questo dimostra che presto e bene raramente si possono accoppiare. È facile firmare accordi, mentre attuarli è, sempre più spesso, quasi impossibile. In questo caso la presenza di precise regolamentazioni non ha consentito, come per altri accordi, di sorvolare sulle questioni più scomode e spinose ed ha imposto un rigido protocollo di realizzazione.

Se un primo passo è stato fatto, ora diventa necessario concludere il lavoro attivando anche la parte dispositiva, ma molto probabilmente questa non verrà resa disponibile prima dell’introduzione dei nuovi comparti di investimento ai quali i colleghi potranno aderire.

La costruzione delle Asset Allocation dei comparti ha richiesto un percorso molto complesso ed anche in questo caso si è dovuto imporre una calendarizzazione dei lavori più estesa rispetto a quella inizialmente prevista. Anche in questo caso la fretta ed il rispetto dei tempi imposti dagli apparati hanno spesso condizionato il processo di definizione dei nuovi comparti ed è nostra opinione che alcune decisioni avrebbero meritato un maggiore approfondimento.

Ad esempio, la scelta di rinunciare al veicolo Sicav, è stata effettuata sulla base di considerazioni più politiche che tecniche e senza una valutazione prospettica di lungo periodo, privilegiando una soluzione che contiene i costi, ma che impone di rinunciare ad una maggiore efficienza operativa ed a una struttura di controlli più articolata. Purtroppo alcuni tentativi esterni di vincolare le scelte del CdA e la necessità di una revisione del veicolo lussemburghese “ereditato” dalla gestione del fondo ex SanpaoloImi, hanno sostanzialmente imposto di rinunciare a questo percorso. Siamo comunque convinti che la costituzione di una Sicav garantisca sia una maggiore efficacia nell’accesso dei mercati attraverso mandati specialistici, che di mantenere un maggiore controllo da parte del Fondo sull’allocazione strategica, piuttosto che demandarla a gestori multiasset. Per questi motivi auspichiamo che, una volta avviato il Fondo Unico e costituito un nuovo CdA, si possano ripensare e rivedere le scelte attualmente fatte.

Inoltre, la decisione di non attivare un comparto etico toglie un elemento distintivo dell’offerta agli aderenti ed è stata un’occasione persa per trasformarlo in un più moderno comparto “socialmente responsabile” ma anche su questo punto crediamo sia possibile, in considerazione della sensibilità dimostrata da molti consiglieri, intervenire nel prossimo futuro.

Anche la scelta di investire in azioni Banca d’Italia è avvenuta in maniera affrettata, senza alcuni dovuti approfondimenti, che sono stati richiesti, ma ancora non soddisfatti, e sulla base di ipotesi di adesione ai vari comparti che potrebbero essere anche smentite dal comportamento dei colleghi. Su questo tema abbiamo ricevuto diverse richieste di chiarimento da parte di colleghi giustamente sospettosi.

Al fine di supportare il processo di ricollocazione delle quote di partecipazione e di garantire appetibilità agli investitori, sono stati predisposti dei meccanismi (riserve) che dovrebbero consentire di stabilizzare nel tempo gli utili netti. L’obiettivo è mantenere un livello di remunerazione minimo intorno al 4-4.5% e tale valutazione è supportata dalla sostanziale stabilità patrimoniale e reddituale di BdI. Tecnicamente, quindi, i flussi finanziari dell’investimento sono molto simili ad una obbligazione perpetua, piuttosto che ad un’azione tradizionale, ed il rendimento, almeno nel breve termine, è interessante, se equiparato a titoli governativi di pari standard. Per questo motivo è stato previsto che tali posizioni siano prioritariamente utilizzate nei comparti con maggiore componente obbligazionaria, al fine di migliorarne il profilo reddituale. Per quanto riguarda le perplessità legate alla liquidabilità della posizione, a valle del complessivo consolidamento della partecipazione azionaria, è stato previsto l’avvio di un mercato secondario nel quale 3 operatori garantiranno sia la formazione del prezzo, sia la scambiabilità, almeno fino ad un certo ammontare per settimana.

Il principale rischio di questi titoli è legato al limite di redditività ovvero al limite del 6% previsto come remunerazione massima del capitale. Infatti, in caso di rialzo dei tassi, è come avere un titolo a reddito fisso a lunga/lunghissima scadenza ed ovviamente in tali casi il prezzo ne risentirebbe ma la patrimonializzazione implicita (post aumento di capitale) dovrebbe garantire la tenuta. Un’altra variabile da tenere in considerazione è legata all’attuale struttura dei proventi che derivano in buona parte dalle operazioni di supporto al sistema … non è detto che dureranno per sempre! Per questi motivi, la posizione deve essere gestita con attenzione nel tempo, monitorando con attenzione i principali fattori di rischi impliciti.

In sintesi, in questo caso, non ci pare di ravvisare rischi particolari rispetto a quelli che già tutti sosteniamo nel momento in cui accettiamo che i nostri risparmi previdenziali siano esposti alle follie dei mercati finanziari …

Smarcate (in qualche modo, e si sarebbe potuto fare meglio) le tematiche più tecniche relative alla costruzione dei profili di investimento, sta per iniziare la delicata fase della scelta dei gestori a cui affidare i vari “pezzi” (la “asset class”) in cui è suddiviso il portafoglio di investimento. Anche in questo caso si prospetta una calendarizzazione serrata, che dubitiamo consentirà di analizzare a fondo i risvolti tecnici di alcuni complessi mandati, soprattutto a quei consiglieri con minore sensibilità e competenza sui temi finanziari.

Per nostra fortuna le masse investite sono così “appetibili” che molte tra le più grandi case di investimento hanno dimostrato il loro interesse ad acquisire i mandati sui quali è stata effettuata una pubblica offerta. Insomma qualunque sarà la scelta, essa non potrà che ricadere su primari intermediari ed il percorso stesso garantirà il rispetto di precisi standard. La definizione di un limite di concentrazione consentirà di differenziare i gestori e garantirà una almeno teorica concorrenzialità tra gli applicanti. Inoltre, il meccanismo di determinazione del gestore a cui affidare i nostri soldini è stato differenziato e, per alcune casistiche, il confronto avverrà analizzando più le performance e la qualità dell’operatore di mercato, che il mero profilo commissionale. Se ciò consentirà di scegliere il migliore, dipenderà dalle scelte dei consiglieri aziendali ed elettivi e dalle loro competenze …

L’attuale pianificazione prevede che già in estate i nuovi profili di investimento siano operativi e si avvicina quindi il momento nel quale ognuno di noi dovrà decidere se il nuovo comparto che gli verrà proposto in sostituzione all’attuale sarà di suo gradimento o meno. Restiamo comunque scettici sulle tempistiche, ma sarà nostra cura fare in modo che le scelte degli iscritti al Fondo possano avvenire nel modo più informato possibile, così da garantire ad ognuno la possibilità di decidere in modo razionale.

Diversamente da alcune altre sigle, che si sono arbitrariamente appropriate della primogenitura di alcuni passaggi della vita del Fondo, vogliamo sottolineare che praticamente tutte le scelte sono state largamente concordate. Non possiamo certo dire che sia stato semplice o indolore, ma sicuramente molte decisioni sono state assunte anche grazie alla nostra partecipazione, alle competenze anche tecniche che abbiamo garantito ed alle sensibilità che abbiamo rappresentato. Il nostro rappresentante ha dovuto, non raramente, ingoiare rospi indigesti; ma riteniamo che in alcuni passaggi la nostra presenza abbia avuto un ruolo tutt’altro che secondario ed il risultato finale ne esca sensibilmente migliorato.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
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Ciao Piergorgio

DA CUB SALLCA A ISCRITTE/I

Sabato 18 marzo si è spento a Milano all’età di 78 anni Piergiorgio Tiboni, storico dirigente sindacale e fondatore della CUB. Tiboni è stata una figura di riferimento importante per intere generazioni di militanti sindacali. Entrato alle acciaierie Falck ancora ragazzo, dopo 8 anni di fabbrica si licenzia per diventare operatore sindacale a Brescia nella FIM-CISL e poi diventa segretario della federazione milanese, un vero e proprio laboratorio capace di rappresentare al meglio il grande fermento sociale che matura tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. E’ l’autunno caldo, con il sindacato che si apre alle nuove lotte e alla nuova composizione sociale di classe, che pratica il conflitto per contrattare da posizioni di forza, il sindacato che porta alle grandi conquiste, come lo Statuto dei Lavoratori. Si realizza una grande saldatura tra le lotte operaie, le  istanze dei tecnici, le esigenze degli impiegati e ceti medi che aderiscono per la prima volta alle agitazioni.

Insieme all’organizzazione sindacale, Tiboni si occupa anche di comunicazione, di informazione e di cultura, fondando Radio Popolare e la rivista Azimut. La FIM-CISL milanese e lombarda provano a resistere alla normalizzazione degli anni che verranno, ma alla fine degli anni ’80 la situazione diventa intollerabile e Tiboni con il suo gruppo esce dalla FIM-CISL per fondare la FLMU e subito dopo la CUB.

E’ la scommessa di un sindacato plurale e democratico, capace di aggregare militanti e lavoratori di diversa provenienza e fede politica, culturale, religiosa. Tiboni è un leader carismatico e pragmatico al tempo stesso, che riesce a fare sintesi senza mai alzare la voce.

Ha attraversato da militante e da dirigente sindacale 60 anni di conflitto, legando l’esperienza del sindacato dei consigli alla nuova avventura del sindacalismo di base. Ha lottato fino alla fine con una determinazione e una passione davvero rare, lasciando un’impronta indelebile. Non sarà facile sostituirlo, impossibile dimenticarlo. Ciao Piergiorgio.

Il funerale si terrà mercoledì 22 marzo alle ore 14,45 a Milano,  presso la parrocchia San Gerolamo Emiliani, Via Giovanni Calabria 36. Successivamente si terrà un saluto al Cimitero di Milano Lambrate (servizio navetta autobus di andata e ritorno). 

8 marzo di lotta

DA SEGRETERIA NAZIONALE CUB SALLCA 

A ISCRITTI/E, LAVORATORI/TRICI 

L’8 marzo le donne di tutto il mondo scioperano ma noi non possiamo!

Nell’ottica di ottemperare al “soddisfacimento delle necessità della vita attinenti ai diritti della persona costituzionalmente garantiti…

Le Organizzazioni sindacali firmatarie  si impegnano a non proclamare scioperi nella giornata di mercoledì…”

L’autoregolamentazione del diritto di sciopero nel settore bancario risale agli anni 80 e tale è rimasta sino ad oggi.

Al fine di consentire l’erogazione, durante lo sciopero, delle prestazioni ritenute indispensabili, quali il pagamento degli stipendi e delle pensioni, i sindacati firmatutto hanno sottoscritto un codice di autoregolamentazione che, tra le altre cose, vieta ai bancari l’indizione di sciopero per la giornata di mercoledì. Per il diritto di sciopero siamo considerati servizio pubblico essenziale ma questa caratteristica l’abbiamo persa da tempo sia per la possibilità di accedere all’erogazione di denaro attraverso altri canali, sia per la riduzione di sportelli e casse con la conseguenza di fornire un servizio sempre più scadente a chi non usa internet e bancomat.

Il nostro settore non è certo esente da discriminazioni di genere in particolare rispetto alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; alle donne è comunque assegnato il ruolo di cura e assistenza e sono poche quelle che possono delegare a pagamento tale ruolo. 

Un esempio per tutti sono le risposte assurde alle richieste di part-time delle lavoratrici: articolazioni di orario che mettono in seria difficoltà la possibilità di seguire i figli, pena il trasferimento.

Condividendo i contenuti di questa manifestazione che, ricordiamo, ha carattere mondiale, non possiamo che invitare, chi può, a partecipare alla

CHIAMATA ALLO SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE  8 MARZO 2017 DI “NI UNA MENOS” 

L’iniziativa nasce dalle donne argentine che hanno deciso di incrociare le braccia l’8 marzo: se le nostre vite non valgono, noi non produciamo. Ci fermiamo per esprimere dissenso e disobbedienza, per rifiutare ogni forma di violenza sessista, razzista, di sfruttamento e oppressione.

Dalla manifestazione del 26 novembre 2016 a Roma si sono moltiplicati in tutte le città italiane le iniziative, i tavoli di discussione, i dibattiti in preparazione della manifestazione: Povertà e precariato, diritti Lgbt e discriminazioni verso le donne migranti, discriminazione sul lavoro.

La violenza non è solo quella che avviene nelle relazioni di intimità: c’è la violenza di interventi politici che rispondono alla crisi erodendo diritti, tutele, welfare, dando per scontato che siano le donne con il loro lavoro di cura a sostituire politiche sociali assenti. 

E’ ancora violenza quella di Stati che costruiscono muri contro l’immigrazione o promulgano leggi per respingere e deportare. E’ ancora violenza quella di uno Stato che smantella  i consultori e continua a lasciare la legge 194 ostaggio dell’obiezione, cosiddetta “di coscienza”, che spesso cela l’ipocrisia di ginecologi che attuano una volontà di controllo dei corpi delle donne o sono mossi da opportunismi di carriera.

A supportare l’agitazione saranno i sindacati USB, CUB, USI e SGB. 

Potete trovare i volantini delle varie Federazioni della CUB sul sito nazionale e su quelli locali o di settore, mentre per il dibattito generale vi invitiamo a visitare il sito nonunadimeno.wordpress.com dove potrete seguire le varie iniziative.

INTESA SAN PAOLO: OLTRE IL LIVELLO DI GUARDIA

L’inizio del nuovo anno ha comportato in Intesa Sanpaolo un altro giro di vite sulle pressioni commerciali. Archiviato il 2016 con le ultime operazioni straordinarie, spostati centinaia di direttori e capi area per tenere sotto pressione la truppa ed alta la motivazione dei manager, respinte le richieste governative d’intervento per tenere in piedi qualche altra banca fallita, i vertici aziendali hanno  ripreso a fare quello che sanno meglio: martellare il personale per aumentare le vendite.

Mentre matura l’o.p.s. amichevole sulle Generali per evitare che l’ennesimo gioiello italiano  prenda la strada dell’estero, c’è il problema di restare forti per non essere a propria volta scalati. Occorrono fatti concreti, non basta affabulare gli azionisti promettendo 3,4 miliardi di dividendi per il 2017. Per fare profitti record in un paese stremato, si può solo pigiare l’acceleratore sulla rete di vendita e continuare ad “estrarre valore” da una clientela il più delle volte  esausta, delusa, impaurita, sfruttata. Non solo le filiere personal o retail, ma anche le filiali imprese sono investite da un tornado di richieste impressionanti.

L’azienda ha voluto l’accordo sulle assunzioni ibride, per introdurre un precedente che modifica in prospettiva tutto l’assetto contrattuale: la banca si riduce a rete di vendita e lo stipendio si riduce  a commissione sul venduto. Il programma ABI del 2013 diventa realtà: s’introducono forme di lavoro autonomo, retribuite a provvigione. Al calo di redditività si risponde con un abbassamento dei costi fissi. L’incertezza e l’instabilità economica si scaricano sulle spalle dei dipendenti.

Il riposizionamento sul mercato procede anche attraverso nuovi salti in avanti: per allargare il giro di ricavi e clienti arriva la Banca dei Tabaccai  (la nuova “Banca 5”, che segna, di fatto, il fallimento dell’esperienza). La novità, poco sorprendente, è che bisogna vendere più di prima (molto più di prima) i favolosi prodotti del risparmio gestito  e della filiera assicurativa.

Detto, fatto: parte la campagna sulla priorità delle priorità con centinaia di clienti da contattare entro una settimana per raggiungere gli ennesimi obiettivi sfidanti, in primis  un miliardo di ricavi in più entro il 31 marzo! Si sa, c’è la trimestrale, e non  ci si può presentare  agli analisti con dei dati deludenti…

A inizio febbraio è trascorsa così la settimana più allucinante per i consulenti Intesa  Sanpaolo, che hanno dovuto abbandonare tutto il resto per concentrarsi sulle priorità: prestiti, a.f.i. e soprattutto risparmio gestito. Ordine di scuderia: contattare tutti i clienti in campagna entro venerdì 11 febbraio.  Prodotto d’eccellenza da offrire ad una selezionata platea di clienti:  una polizza ridicolmente denominata “La tua scelta”. Si tratta di una polizza mista, un po’ ramo I e un po’ ramo III, a vita intera  ed una protezione del capitale al 91% su un arco temporale di 7 anni: un prodotto adattissimo da proporre ad una clientela terrorizzata, che non se la sente neanche di investire in prodotti garantiti, con orizzonti temporali cortissimi!

L’ordine di scuderia “è già stato eseguito”: impossibile per i consulenti sottrarsi ai comandi, perché le Direzioni di Area, impegnate a monitorare giornalmente le percentuali di lavorazione, hanno minacciato di entrare sulle agende e sui clienti in campagna (come se non l’avessero mai fatto…), per verificare l’autenticità dei contatti!

Ci piacerebbe sapere come vengono selezionati i responsabili della fabbrica prodotti e soprattutto quelli che individuano i potenziali target di clientela interessata… sarebbe bello se venissero ogni tanto a farsi un giro in filiale e parlare con un cliente non solo “potenziale”!

E’ assurdo lavorare in questo modo, pretendere l’applicazione rigida di un metodo commerciale ormai sterile, inefficace e controproducente. Sei appuntamenti al giorno possono rivelarsi del tutto inutili se legati ad algoritmi modellizzati: è meglio un appuntamento solo, ma ben preparato, efficace, fruttuoso. Funziona meglio un metodo che si affidi alla professionalità del consulente, alla sua conoscenza della clientela, alla sua capacità di trovare soluzioni sensate ad esigenze specifiche, rispetto ad un metodo quantitativo che schiaccia le reali necessità dei risparmiatori dentro il tritacarne del nostro conto economico e l’impellenza di “riempire le caselle”.

A cosa serve assegnare  venti diverse priorità, tra a.f.i., risparmio gestito,  nuovi clienti,  focus commerciale, sei ok, e via delirando, quando manca  il tempo per reggere il quotidiano, le incombenze amministrative, le pratiche di successione, non parliamo di curare la formazione e conoscere davvero i prodotti che si vogliono vendere?

A che serve continuare a correre all’impazzata dentro un  treno fuori controllo, con conduttori sempre più isterici, che chiedono di continuo dati che avranno comunque in automatico dopo qualche ora, con l’unico effetto di stressare ulteriormente una rete di vendita già provata da anni di pressioni insostenibili?

E’ ora di dire basta a tutto questo e provare a reagire con strumenti nuovi. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il fallimento dell’accordo sulle pressioni commerciali siglato ormai 16 mesi fa. L’istituzione della casella iosegnalo@intesasanpaolo.com non è servita a nulla: nessuno ha mai chiarito dove finissero le poche mail spedite da colleghi sfiduciati e diffidenti, da chi e come venissero gestite, quali conseguenze avessero sui responsabili di abusi, quali sanzioni venissero applicate. Quello che non ha funzionato in Intesa Sanpaolo viene oggi esteso a tutto il sistema, con un accordo in sede ABI, ma solo l’ipocrisia generale può vantare come un successo quest’ ulteriore passaggio che rappresenta l’ennesima presa in giro.

Centinaia di delegati sindacali e strutture territoriali delle sigle firmatarie dell’accordo, hanno scritto migliaia di volantini  da cui traspare la sua sostanziale e diffusa disapplicazione: è  l’ammissione implicita della sconfitta. D’altronde, i vertici sindacali che hanno appena firmato l’accordo sulle assunzioni miste hanno perso ogni credibilità nel contrasto delle politiche commerciali aggressive.

Serve un salto di qualità. I lavoratori ed i rappresentanti delle altre sigle in buona fede devono, insieme a noi, operare per documentare nella maniera più precisa possibile comportamenti inappropriati e al di fuori dei princìpi etici, formalmente definiti dall’azienda, quando, addirittura, non sanzionabili sul piano legale.

Di fronte a fatti provati cercheremo di  inchiodare i vertici aziendali alle proprie responsabilità. In ultima istanza resta sempre la possibilità di ricorrere ad esposti e denunce alle autorità competenti.

Dobbiamo coalizzarci per resistere, quotidianamente, in ogni punto operativo, a richieste assurde ed insensate.

Perché non esigere la reale applicazione dell’accordo con l’unico rimedio davvero risolutivo: rendere i budget assegnati coerenti con la reale capacità del mercato di assorbirli e dei lavoratori di realizzarli?

Bisogna mettere testa in quello che si fa e non sparare a casaccio: in guerra vince chi si concentra su pochi obiettivi, utili, ragionevoli, raggiungibili. Puntare a vendere tutto a tutti, senza neanche conoscere in dettaglio quello che si vuole collocare, è sintomo di approssimazione e delirio di onnipotenza.

Come  lavoratori dobbiamo cominciare ad agire sul tema delle pressioni, che è per noi tutti la priorità delle priorità: ne va della serenità del clima lavorativo, dell’integrità della nostra prestazione professionale e della sopravvivenza dell’azienda in cui lavoriamo. E’ urgente parlarne con tutti, iscritti, lavoratori, responsabili,  delegati di altre sigle sindacali “di buona volontà”.

A Torino, il 9 marzo, l’assemblea cittadina (di cui comunicheremo a breve il luogo di svolgimento) sarà la prima occasione per provarci.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. INTESA SANPAOLO

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f.i.p. 21.02.2017

Unicredit. La voce del padrone

“Se non puoi convincerli, confondili” (Harry S. Truman)

 

A tutti prima o poi nella vita capita di interrogarsi sui grandi quesiti esistenziali: chi sono, cosa sto facendo, perchè lo faccio, che senso ha la vita e via dicendo.

Lo stesso problema, se di problema si tratta, capita ragionevolmente anche sul posto di lavoro. Ed è veramente difficile non essere assaliti da dubbi esistenziali su base quotidiana nella realtà del nostro lavoro. Veniamo rassicurati quasi di continuo: siamo una banca paneuropea solida, scandisce con sguardo fisso e glaciale il nostro nuovo Amministratore Delegato, e supereremo indenni le piccole difficoltà presenti per incamminarci su un radioso futuro. Ma ciò che ci circonda e soprattutto il modo in cui si evolve è tale da far vacillare anche le certezze più salde.

Malfunzionamenti continui, continui disservizi, disorganizzazione, un piano industriale che contiene una sola grande sicurezza: altre migliaia di persone da estromettere con modesto e precario rimpiazzo, altre centinaia di agenzie da chiudere. Esternalizzazioni fatte, possibili e future, con conseguente scadimento della qualità della risposta alla Rete, ribaltata sul cliente finale. Una strategia commerciale basata unicamente sul mantra ossessivo delle vendite e della loro rendicontazione per settimana, per giorno, per ora. Un pressing costante sulle figure manageriali intermedie, perchè venga trasmesso da queste sulla base.

Cadute di tono scandalose, come colleghi che scoprono dal portale cosa dovranno fare dal primo di marzo; nemmeno più lo sforzo di scrivere lettere di trasferimento o fare colloqui, modifiche all’organigramma decise centralmente con l’accetta e comunicate in modo impersonale ai dipendenti, come fossero semplicemente dei pacchi da spostare da un punto all’altro.

Lo stesso avviene a molti clienti, che si troveranno chiuse le agenzie di riferimento ma ancora non hanno avuto comunicazioni ufficiali; abbiamo poi agenzie chiuse per ristrutturazione i cui colleghi sono inviati presso le agenzie in chiusura, senza porsi il problema di come possano lavorare.

La situazione non è migliore negli uffici di sede, dove ognuno si domanda per quanto rimarrà nel Gruppo prima di essere “incartato” e ceduto a qualche società creata ad hoc, o se la lavorazione di cui si occupa non sarà decentrata all’estero, stanti i noti successi di UPA Romania e delle lavorazioni affidate in esterno.

Il management attuale ha buon gioco ad attribuire le colpe alla “mala gestione del passato” e alla crisi che attanaglia il paese. In verità è qualcosa che abbiamo già visto: non a caso l’esordio al timone del precedente amministratore delegato è coinciso con altre perdite monstre seguite da esuberi, tagli al personale, ai premi, a tutto ciò su cui si poteva risparmiare. Ora la liturgia si ripete e c’è legittimamente da domandarsi quale sia il futuro di questo nuovo, ennesimo piano industriale. A leggere la descrizione che ne viene fatta nel prospetto informativo dell’aumento di capitale più imponente nella storia della borsa italiana l’unico punto fermo è la riduzione del costo del personale e speriamo che basti. La frase “fino a compromettere la sussistenza dei presupposti per la continuità aziendale” ricorre un po’ troppo spesso per parlare di nubi passeggere.

In questa situazione ci sarebbe da aspettarsi una presa di posizione decisa da parte di chi, finora, ci ha sempre esortato a chinare la testa e accettare “i migliori accordi possibili”, almeno finchè la testa l’abbiamo ancora attaccata al collo. E’ difficile imputare ai lavoratori qualcosa come 13 miliardi di perdite e tutti gli utili che si possono fare non potrebbero ripianarli in anni. Ma si esulta per successi clamorosi come l’ottenimento di qualche centinaio di euro di VAP, per lo sblocco della trattativa sugli inquadramenti, conclusa peraltro con risultati che hanno del ridicolo, per chi si prendesse la briga di leggere a fondo (per esempio, arrivano a garantire l’area 3 livello 3 a un consulente personal con SEI anni di esperienza).

In un’azienda che vacilla pericolosamente e soprattutto sembra avere le idee chiare su un unico punto, ovvero far pagare il conto a dipendenti e clienti, si gettano sulle briciole. Responsabilità, spirito di sacrificio o ennesimo tentativo di “tirare a campare” firmando qualsiasi cosa venga messa davanti?

Abbiamo perso già molto e molto possiamo perdere ancora. Noi crediamo che l’unica speranza per un vero cambiamento di rotta sia ricorrere ad ogni possibile strumento di tutela della nostra professionalità e della nostra stessa esistenza come categoria; veniamo continuamente messi in discussione da ogni nuovo piano industriale che prevede di “trasformarci” nelle cose più varie e fantasiose, quando le esigenze dei clienti sono sempre le stesse, come del resto le nostre.

Vi chiediamo di segnalarci scorrettezze, abusi, pressioni, intimidazioni; vi consigliamo di tenere gli occhi bene aperti, farvi e fare domande e non accettare nulla come una tragica, ineluttabile necessità. Tutto ciò che vediamo ora non è che il ripetersi in condizioni peggiorate di un pessimo film già visto, e considerando che cosa abbiano da perdere le singole parti in gioco domandiamoci a chi convenga davvero cercare di cambiare il finale.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo UniCredit

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ACCORDO INTESA SANPAOLO SULLE ASSUNZIONI “MISTE”: COME PREPARARE LA DISTRUZIONE DELLA CATEGORIA RIVENDICANDO LA TUTELA DEI PROMOTORI

 

Il punto più importante e controverso dell’accordo sul Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo Intesa Sanpaolo sono le nuove assunzioni di personale iscritto all’albo dei promotori. I
nuovi assunti lavoreranno part time come dipendenti, due o tre giorni alla settimana ed
i restanti come promotori, cioè lavoratori autonomi.

Quello che per i sindacati firmatutto è un positivo ed innovativo accordo, che consente ai lavoratori autonomi (i promotori assunti nell’occasione) di poter godere, in misura molto limitata, di malattia, infortunio e maternità, nonché del “welfare aziendale” (previdenza e sanità integrativa, ma solo nella “veste” di dipendenti), per noi è l’apertura di un processo che, nelle intenzioni aziendali, porterà ad avere lavoratori della rete commerciale con sempre meno stipendio fisso e garantito, su cui scaricare il rischio d’impresa (niente risultati, niente reddito) e risolvendo così il problema delle pressioni alla vendita (i nuovi assunti si “presseranno” da soli).

E’ il caso di ricordare che, in occasione dell’ultimo rinnovo del CCNL, nel documento sulle posizioni ufficiali dell’Abi era ben evidenziata la richiesta di utilizzo più ampio di rapporti di lavoro autonomo per gli addetti alla rete”.

Non ci pare un eccesso di dietrologia ipotizzare che questo accordo potrebbe essere la prima tappa per arrivare al risultato finale voluto dai banchieri. Altrimenti perché mai Intesa Sanpaolo ci teneva tanto a fare queste assunzioni stravaganti, mettendo insieme, nella stessa persona, le figure, totalmente diverse, del dipendente e del promotore?

La motivazione ufficiale dell’azienda di fare queste assunzioni come strumento per acquisire nuove masse gestite non ci convince, così come la possibilità per i nuovi assunti di chiedere, alla fine dei due anni, la conferma come dipendenti, che Intesa Sanpaolo potrà accogliere entro nove mesi con assunzione nell’ambito della regione o di quelle adiacenti.

La filosofia dell’operazione è ben visibile in queste dichiarazioni del segretario della Fabi Sileoni (ma immaginiamo condivise dagli altri firmatutto), rilasciate pochi giorni prima della firma dell’accordo  “In questi giorni, all’interno del gruppo Intesa, le organizzazioni sindacali stanno discutendo sull’opportunità di dare stabilità contrattuale e professionale a quei dipendenti assunti anche con contratto da promotori finanziari (in Intesa sono oltre 5mila, nel settore bancario italiano oltre 40mila). Prevedere nuove flessibilità contrattuali e nuove attività professionali sarà un percorso obbligato per mantenere gli attuali livelli occupazionali del settore e il movimento sindacale, tutto, se ne deve fare una ragione perché è nell’interesse del sindacato allargare il proprio campo d’azione e tutelare al meglio più tipologie di lavoratori, ad iniziare dai giovani. Il Contratto di lavoro scade a dicembre 2018 – conclude – ma le condizioni per un cambiamento radicale devono essere discusse ora perché, nei vari piani industriali, troppe aziende stanno andando in deroga al contratto collettivo nazionale di lavoro”.

E’ davvero grottesco che i sindacati al tavolo, incapaci di difendere i dipendenti di banca, si vantino di voler tutelare i promotori, finendo per agevolare l’obiettivo finale dei banchieri di avere una categoria sempre più debole e ricattabile.

Un obiettivo da raggiungere gradualmente, perchè i banchieri sanno che se la rana viene messa a cuocere nell’acqua tiepida, anziché bollente, non si accorgerà di cosa sta succedendo, ma gli scenari che si aprono sono inquietanti per tutta la categoria.

Grave il contenuto dell’accordo, grave il metodo: ancora una volta, senza consultare i lavoratori e senza chiedere alcun mandato, hanno fatto tutto da soli, come nel contratto del 2012, quando firmarono la manovra sugli orari, con le filiali aperte fino alle 20 ed al sabato mattina con i turni.

La democrazia sindacale è morta, la categoria è allo sbando, siamo rimasti solo noi a difendere il fortino. Aspettiamo i rinforzi.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
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CREDIT AGRICOLE, L’ETICHETTA FRANCESE NON BASTA A NASCONDERE IL SOLITO CAOS ORGANIZZATIVO

CRONACHE DAL PIANETA CREDIT AGRICOLE
Bollettino periodico a cura della Federazione di Torino della CUB-SALLCA
n.ro 12 – febbraio 2017 – chiuso in redazione il 6-2-2017

Le carenze di organico, sempre più devastanti, stuzzicano la fantasia delle menti pensanti (?) che dirigono l’azienda.

La riportafogliazione della clientela è stata l’occasione per inventarsi l’idea di  cancellare la figura del gestore aziende, un’operazione che  rappresenta il classico caso di coperta corta che viene stiracchiata da tutte le parti.

Formalmente il lavoro dei gestori aziende è stato, in parte, girato ai direttori di filiale ed in parte raggruppato nel Polo Affari di Corso Traiano, che è stato potenziato con ben due risorse (anzi, una e mezza, visto che una collega è part time).

Gli altri, in parte sono in attesa di destinazione, in parte sono stati demansionati al ruolo di gestori famiglie e qualcuno diventerà uno e trino. Non solo dovrà magicamente affrontare il nuovo lavoro di gestori famiglie (per il quale non ha ricevuto nessuna formazione), ma continuerà a fare il lavoro precedente quando qualche suo cliente si presenterà in filiale, anzi nelle filiali.

L’ultima genialata è che questi colleghi dovranno dividersi su due filiali: nella stessa settimana, due giorni qui, tre giorni là, nel festival della flessibilità e della più totale discrezionalità aziendale.

Gira voce, peraltro, che a qualche gestore famiglie sia stato chiesto il maneggio valori (anche solo per la quadratura/caricamento del bancomat) in situazioni di emergenza (che peraltro stanno diventando l’ordinaria normalità), in una continua corsa a coprire i buchi, peraltro in un contesto di continuo scivolamento verso il basso delle mansioni e di mancanza di formazione: viene chiesto di caricare il bancomat anche a chi non lo ha mai fatto o la ha fatto molti anni fa e dovrebbe rivedere le procedure.

Non ci sono parole per definire questo ennesimo pastrocchio organizzativo, discutibile sul piano legale, inqualificabile dal punto di vista del buon senso e del rispetto della dignità dei lavoratori.

L’unica difesa è cercare di fare il proprio lavoro senza commettere errori, ma anche senza correre e affannarsi troppo per far funzionare quello che, palesemente, non funziona per carenze di organico e organizzative.

Ricordiamo, peraltro, che l’azienda ha l’obbligo di curare la formazione dei dipendenti e di fornirgli la conoscenza necessaria prima di adibirli a nuove mansioni.