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INTESA SANPAOLO: LA MANO DESTRA SA QUELLO CHE FA LA MANO SINISTRA ?

Qui sotto leggerete un quesito posto da un collega alle funzioni competenti e la conseguente risposta. Non abbiamo nulla da aggiungere: si commenta da sé.

Desideriamo unicamente ricordare, ancora una volta, a tutti i colleghi di operare nel totale rispetto della normativa continuamente richiamata dall’azienda (anche quando l’incoerenza regna sovrana come ci dice questo caso). I numerosi casi disciplinari in cui siamo costretti a prestare assistenza ci impongono questo suggerimento. Veniamo posti nelle condizioni di sbagliare e, subito dopo, scatta la contestazione.

 

Quesito:

Abbiamo riscontrato diverse richieste allo sportello di cambio assegni di traenza emessi da Intesa Sanpaolo, per ordine e conto della Unipol Sai, recanti lettera accompagnatoria nella quale si indica ai beneficiari che il cambio può avvenire con la presentazione di un solo documento di identità e della tessera sanitaria per importi fino ad eur 10.000,00.

Tale indicazione sembrerebbe in conflitto con quanto previsto dalla scheda “A” della guida operativa del cambio assegni (aggiornamento del 03/06/2016) nella quale si indica che per assegni superiori ad eur 750,00 bisogna richiedere e fotocopiare due documenti di ‘identità e codice fiscale.

Al fine di evitare ulteriori contestazioni con l’utenza si richiedono chiarimenti nel merito.

 

 

Risposta:

Gentile collega,

la guida operativa in materia di “cambio assegni” prevede effettivamente che per assegni superiori all’importo di € 750 occorra acquisire copia di due documenti di identità e del codice fiscale del richiedente.

Al riguardo, tuttavia, occorre precisare che non ci risulta che ci siano norme di legge o di regolamento che stabiliscono tale onere.

In sostanza, la policy è ispirata ai principi di prudenza e di diligenza professionale ai quali la banca si attiene nell’identificazione dei beneficiari del pagamento.

Occorrerà quindi interessare le competenti Strutture affinché le comunicazioni inviate da Unipol siano coerenti con la normativa interna.

Restiamo naturalmente a disposizione per i singoli casi concreti che dovessero presentare criticità.

Distinti saluti

 

11/11/2016

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PER SALVARE QUEL CHE RESTA DELLA COSTITUZIONE E FERMARE RENZI (PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI) AL REFERENDUM SI VOTA NO

Basta con le truffe di Renzi:no

il Senato non viene abolito, ma anziché essere eletto

verrà nominato e chi ne farà parte avrà l’immunità parlamentare.

Il risparmio, peraltro molto limitato,

(magari lo userà per costruire il Ponte sullo Stretto)

non può essere scambiato con la cancellazione della democrazia.

Con il Senato nominato e l’Italicum, che consentirà

a chi prende il 25% dei voti di ottenere la maggioranza dei seggi,

si prospetta un sistema oligarchico e autoritario.

Anche i poteri delle regioni vengono ridotti:

mano libera al governo per le grandi (nonché costose ed inutili) opere che dissipano risorse pubbliche e devastano il territorio.

 

 

Anche la riforma costituzionale di Renzi, come le leggi ordinarie approvate dal suo governo, fa promesse che non verranno mantenute.

Il sistema bicamerale (ammesso che sia un male) non viene eliminato: il Senato non voterà più la fiducia, ma resterà il doppio voto su numerose (e non sempre ben definite) materie. Il Senato non viene abolito, ma verrà costituito da nominati, anziché eletti, scelti tra consiglieri regionali e sindaci che godranno di immotivata immunità parlamentare.

La riduzione dei senatori determinerà un risparmio di meno di 50 milioni di Euro (dati ufficiali della Ragioneria di Stato e non “stime” della propaganda renziana), un vero e proprio specchietto per le allodole, un risultato che si poteva raggiungere facilmente con una semplice decurtazione del 10% delle ridondanti indennità parlamentari, senza mettere in piedi questo circo.

In realtà, la combinazione delle norme di questa “riforma” con il sistema elettorale determina un accentramento dei poteri ed un esito autoritario, perché chi vincesse le elezioni, anche con un minimo margine, finirebbe non solo per governare, ma per imporre anche la scelta di presidente della Repubblica e giudici costituzionali.

Il fatto che non sempre le regole elettorali premino chi le ha volute (si veda la recente elezioni dei sindaci) nulla toglie alla natura antidemocratica e distorsiva della rappresentanza di queste norme.

D’altronde Renzi è abituato a mettere etichette fasulle ed accattivanti a prodotti scadenti.

Il job’s act rivendica l’introduzione del contratto a tutele crescenti, mentre in realtà ha introdotto la libertà indiscriminata di licenziamenti individuali (i recenti dati sull’impennata del 30% dei licenziamenti individuali per giusta causa lo confermano).

Altri governi ci avevano provato, ma solo questo governo è riuscito a cancellare l’art.18 per i neoassunti (per ora?).

Il decreto “Sblocca Italia” favorisce l’ulteriore libertà di devastazione ambientale, salvo poi vedere i ministri in televisione rammaricarsi per qualche catastrofe naturale.

Non è un caso che il potere delle regioni, con questa riforma, venga ridotto proprio su materie come le “grandi” (e devastanti) opere.

La “Buona Scuola”….vabbè, lasciamo perdere.

Tutti i poteri “forti”, a partire da Confindustria, passando per i burocrati delle istituzioni europee, fino alla plateale ingerenza dell’ambasciatore e dell’ex presidente degli Usa, plaudono a questa riforma.

Noi pensiamo che la Costituzione vada applicata e non manomessa e che si debba impedire di fare ulteriori danni a chi ha governato con provvedimenti dannosi, iniqui e truffaldini.

È uno scandalo che ancora la recente Legge di Stabilità, mercanteggiata con Bruxelles per ottenere lo zero virgola di flessibilità, sia piena di misure degne del gioco delle tre carte.

Ad esempio, vengono concessi aumenti alle pensioni più basse ma si taglia la spesa sanitaria. Oppure si alza la voce contro Equitalia, ma si “dimentica” che questa è la mera esecutrice delle norme fissate da enti locali e governo, compreso quello di Renzi.

Il cambiamento che serve all’Italia non è quello di conferire più poteri a chi ha dimostrato di governare male e di aggiungere danni a quelli già esistenti, a cominciare dalla totale libertà di licenziare per i nuovi assunti.

Per questo il voto dei lavoratori non può che essere per il NO a nuove derive autoritarie, che finirebbero solo per favorire ulteriori misure antipopolari.

 

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cicl. in p. 14-11-2016

4 NOVEMBRE 2016 LE RAGIONI DI UNO SCIOPERO GENERALE NEL GIORNO DELLA RETORICA NAZIONALE

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Le organizzazioni sindacali di base CUB, SGB ed USI hanno proclamato uno sciopero generale per venerdì 4 novembre. Le motivazioni dello sciopero sono articolate sui seguenti punti:

  • No alla guerra, per opporsi allo schieramento di truppe nei vari scenari di crisi e al coinvolgimento sempre più marcato del nostro paese nei conflitti armati, come sta accadendo in Libia per ragioni economiche e strategiche; no alle spese militari e alle fabbriche di morte; no alla guerra, non dichiarata, contro le classi popolari e i lavoratori;
  • Messa in sicurezza del territorio e delle abitazioni su basi anti-sismiche, per prevenire catastrofi come quella del recente terremoto in Italia Centrale, trasformando questa tragedia in un grande piano per l’occupazione; bonifica dei siti inquinati, come quello dell’Ilva di Taranto;
  • Piano per la sicurezza nei luoghi di lavoro, per prevenire infortuni e malattie mortali;
  • Opposizione alla politica economica del governo Renzi, che applicando le direttive dell’Unione Europea, ha introdotto il jobs-act, precarizzato il lavoro, abolito l’art. 18 e ridotto i diritti;
  • Sbloccare i contratti pubblici e privati, per fare ripartire i consumi e la produzione, anziché investire in grandi opere inutili che distruggono il territorio;
  • Redistribuzione del reddito attraverso consistenti aumenti di salari e pensioni, per porre rimedio alle gravi ineguaglianze, cresciute con la crisi;
  • Riforma delle pensioni e della legge Fornero, non con meccanismi perversi come l’Ape, che costringe i pre-pensionati ad accendere un mutuo, bensì con la riduzione dell’età pensionabile e l’assunzione dei tanti giovani disoccupati;
  • Diritto al lavoro, attraverso la riduzione d’orario, piano per l’occupazione con la riconversione del modello produttivo verso il risparmio energetico, la sostenibilità ambientale, il risanamento dei siti inquinati e la sistemazione idro-geologica del territorio;
  • Parità dei diritti per gli immigrati e abolizione integrale della legge Bossi-Fini;
  • Ritiro dell’accordo sulla rappresentanza tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil del 10.01.2014, che calpesta il diritto alla democrazia sindacale nei luoghi di lavoro.

La questione della democrazia e della difesa della costituzione ritorna anche nel referendum, chiesto dal governo, per dare un’ultima picconata al sistema istituzionale e comprimere ulteriormente gli spazi di partecipazione politica. Tutto questo mentre si aggrava la crisi economica, produttiva e occupazionale del paese, con forti segnali di deterioramento complessivo.

Stato di crisi ben evidenziato dalla crisi delle banche, che in molte rischiano di non sopravvivere o di essere scalate facilmente da colossi esteri. La perdita di sovranità sarebbe definitiva, mentre ai lavoratori bancari vengono ripetutamente prospettati scenari disastrosi sul fronte occupazionale, come se questa situazione fosse loro responsabilità.

Ci sarebbero quindi tutte le ragioni per un’adesione compatta allo sciopero, che però cade in una data particolarmente sfavorevole per la nostra categoria (la partecipazione allo sciopero in coincidenza con una festività soppressa, come il 4 novembre, implicherebbe un doppio addebito in busta paga).

La nostra organizzazione garantirà comunque la partecipazione dei propri militanti alle manifestazioni, devolvendo il controvalore di una giornata di sciopero a sostegno di iniziative di lotta particolarmente significative in questa situazione così grave.

Invitiamo quindi i lavoratori/trici del credito, impediti ad astenersi dal lavoro, a contribuire con l’equivalente di una giornata di sciopero tramite bonifico da effettuarsi sul seguente IBAN:

 

IT46 X033 5901 6001 0000 0116 036

presso  Banca Prossima – Torino, intestato CUB-SALLCA, con causale:

sottoscrizione straordinaria per sostegno alle vertenze in corso

Invitiamo altresì a partecipare alle manifestazioni del 4 novembre.

Milano, Largo Cairoli, ore 9,30

Napoli, Piazza Mancini, ore 10,00

 

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25 ottobre 2016

Lettera aperta a Stefano Barrese

#facciamolastoria(*), ma facciamola davvero.
barrese

 

Ascoltiamo (e non opprimiamo) le lavoratrici ed i lavoratori della Rete.
Freniamo (e non premiamo) quei duecento yes-men (e yes-women) che dicono sempre che va tutto bene.

 

Scriviamo questa lettera aperta per denunciare il degrado dell’ambiente di lavoro in Intesa Sanpaolo, giunto a livelli inaccettabili.
Le pressioni commerciali sono in continuo aumento e rendono evidente che l’accordo sindacale in materia, con la creazione della casella “Io segnalo”, è una foglia di fico che non riesce più a coprire la vergogna.
La richiesta di reportistica prosegue e viene incrementata al solo fine di aumentare la pressione per raggiungere gli obiettivi. Il salto di qualità è stato effettuato: ora i report non sono più solo consuntivi, ma anche preventivi ed ai colleghi vengono richieste capacità da veggenti.
Le “incursioni” dei responsabili sull’agenda elettronica sono sempre più invasive. Vengono lodati i comportamenti di chi raggiunge i risultati usando pratiche scorrette e trucchi vari, mettendo in difficoltà chi opera in maniera corretta e professionale. Vengono premiati e promossi non i più bravi, ma i più spregiudicati.

Si sta affermando l’idea che non ci siano limiti al potere di chi detiene qualche ruolo di responsabilità. Si segnalano in aumento i casi di responsabili arroganti e prevaricatori e tali atteggiamenti vengono denunciati anche nelle sedi centrali, non solo nella rete filiali.
Nel contempo, chi usa il potere con senso della misura e rispetto per i sottoposti viene messo sotto processo per la scarsità dei risultati.
Si sprecano le classifiche comparative con cui si cerca di colpevolizzare chi resta più indietro sugli obiettivi o non pratica a sufficienza il “metodo”.
Dalle filiali Retail e Personal, fino ai Centri Imprese, si afferma un nuovo modo di lavorare per priorità: ma sono tutte priorità!!

Si continuano a chiudere materialmente le postazioni di cassa e anche le poche residue vengono lasciate vuote perché le indicazioni dei vertici (ovviamente non scritte) sono di tenere in funzione un numero di casse inferiore a quanto sarebbe necessario; in questo modo la gestione della clientela agli sportelli sta diventando oramai un problema di ordine pubblico. Abbiamo sentito responsabili di filiale teorizzare apertamente che coloro che non vogliono adattarsi alle alternative offerte dalla banca (bancomat, Internet, ecc) devono fare la coda e “se non gli piace vadano da un’altra parte”.

Laddove tutti questi comportamenti non siano rilevanti anche dal punto di vista della violazione delle norme del Dlgs 81/2008 (ma questo verrà verificato in altre sedi), essi determinano un degrado del clima lavorativo e denotano la totale mancanza di rispetto verso la clientela (in particolare quella più anziana).

Gli organici sono talmente tirati che anche l’accoglienza e l’assistenza ai bancomat restano scoperte per assenza di personale ed in generale qualsiasi imprevisto, al di fuori degli “appuntamenti” fissati, diventa difficile da gestire.
La mancanza di notizie sul livello di gradimento della clientela e sull’andamento di acquisizioni/perdite della stessa, ci induce a pensare che le cose non vadano bene.
Se in passato la domanda più frequente che ci veniva rivolta dai colleghi era “quando ci sarà un nuovo esodo”, ora molti gestori ci chiedono come fare per cambiare mansione.
Le segnalazioni di dipendenti con attacchi di ansia, problemi di insonnia, uso di psicofarmaci si sprecano. Le professionalità acquisite vengono quasi considerate con fastidio, regnano l’improvvisazione e l’approssimazione.

Il deterioramento del clima lavorativo è sotto gli occhi di tutti (meno dei vertici aziendali che sembrano fingere di non vederlo), il degrado del livello di servizio e l’insoddisfazione della clientela anche.
Le scelte organizzative (dagli orari estesi senza supporto adeguato di organico, al nuovo modello di servizio, alle filiali “new concept”) stanno mostrando i loro limiti e stanno mettendo a dura prova il sistema nervoso dei lavoratori.

Sono state introdotte, in via sperimentale, nuove procedure informatiche con il cambiamento della messaggistica nelle filiali (“Nuovo sportello”). Nonostante il parere unanime che l’innovazione ancora non funzioni adeguatamente, incredibilmente è stato deciso di allargare la “sperimentazione” a 200 nuove filiali.

Ogni tanto abbiamo l’impressione di essere su “Scherzi a parte” e suona come una beffa questa frase, contenuta nella mail del Ceo Messina che ci invita all’Analisi di clima: “nelle scelte di questi anni siamo stati guidati dall’attenzione alle persone, che sono e saranno la forza e il futuro del nostro Gruppo”. Non sprecate tempo e soldi per sondare gli umori dei colleghi con strumenti che lasciano il tempo che trovano: le questioni sono quelle che vi stiamo scrivendo.

Inoltre se i clienti devono usare i canali “alternativi” siamo messi male: il “nuovo” sito della banca è nettamente peggiorato rispetto a quello vecchio (che infatti viene ancora usato di preferenza), mentre agli sportelli si sprecano le lamentele sulle carte bancomat smagnetizzate.

Il fatto che gran parte delle banche porti avanti le stesse, nefaste, politiche non ci impedisce di denunciare e contrastare quanto sta avvenendo in questa azienda.
Le difficoltà del contesto socio-economico ci sono ben note (politiche di austerità, tassi negativi, incertezza economica), ma quanto denunciato finora non è sicuramente il modo giusto per affrontarle e non giustificano certi comportamenti.

Riteniamo di non potere assistere inerti ed indifferenti a questo scempio ed a modalità operative, che, al di là della millantata eticità dell’azienda, non mostrano nessun rispetto per le persone, siano essi i dipendenti o i clienti. Metteremo in atto tutte le azioni possibili per la tutela dei lavoratori e dell’ambiente di lavoro.

 

(*) Per le lavoratrici ed i lavoratori di Rete, troppo impegnati ad applicare il Metodo per seguire queste mondanità, precisiamo che l’impudico hashtag “facciamo la storia” è quello che ha caratterizzato l’annuale mega convention (pardon, giornata di formazione), fortemente voluta dal capo di BdT Barrese, che nei giorni scorsi ha coinvolto centinaia di colleghe e colleghi degli Uffici Centrali di Divisione. Location riservata il Pala Alpitour; buono e abbondante, ci dicono, il buffet. Siamo in attesa che i nostri esperti quantifichino il numero di polizze vita da collocare o i diamanti da vendere per pareggiare i costi dell’evento.    

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

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20ottobre2016

 

Scenari futuri e ruolo dei lavoratori

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Secondo un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica, dal titolo fin troppo evocativo[1], nei prossimi anni da qui al 2020 sono previsti 20-25mila esuberi nel settore. In un altro articolo[2], che illustra le linee di un accordo tra l’ABI e il governo per gestire le prossime ristrutturazioni, il numero dei tagli al personale arriva ad ipotizzare 50mila esuberi. Al di là delle cifre ballerine, l’elemento strutturale su cui convergono gli articoli menzionati e le voci dei più informati osservatori, è che siamo alla vigilia di un processo che cambierà radicalmente le caratteristiche del comparto. Nulla di nuovo potrebbero affermare i diretti interessati, i lavoratori. Alle svolte epocali, alle trasformazioni dal sapore quasi apocalittico, l’orecchio dei bancari è ormai avvezzo. Così come forse uno sbadiglio potrebbe strappare l’ennesima discussione sul nuovo modello di banca, che si trascina ormai da lungo tempo, tema che viene trattato in stretta correlazione con l’annuncio dei forti dimagrimenti di cui sopra. Mai fidarsi però dell’apparente fluire degli eventi, lasciandosi cullare dall’ipnotica ripetitività di quelli che ci appaiono sfibranti deja-vu.

Per la prima volta, stando alle notizie di stampa, l’accordo tra governo e parti sociali includerebbe un sostegno economico pubblico per rendere possibile un esodo di tali proporzioni bibliche. Questa novità seguirebbe quella di carattere normativo che ha permesso di allargare la possibilità dei prepensionamenti da 5 a 7 anni prima della maturazione dei requisiti per andare in pensione. Finalmente potrebbe dire qualcuno. Era ora.

Ma l’illusione dura il tempo di una lettura che non ha bisogno neanche di andare a cercare troppo tra le righe, potendo soffermarsi già semplicemente su quanto alcuni attori del dibattito, non si fanno scrupolo neanche più di mascherare con le consuete sottili formule linguistiche, di chi è abituato a propinare tempeste con le parole di chi annuncia il sereno. Può succedere allora di trovarsi di fronte ad un mondo alla rovescia, in cui Eliano Omar Lodesani, Chief Operating Officer del Gruppo Intesa Sanpaolo e presidente del Comitato Affari Sindacali e del Lavoro di Abi, arrivi a richiedere, con un accorato appello da sindacalista, l’ascolto del governo per trovare le possibili soluzioni nell’interesse dei…lavoratori, mentre Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, si soffermi, con l’afflato avveniristico del più rampante tra gli amministratori delegati, sul programma d’azione che per lui deve prevedere un “riprendersi funzioni, fare consulenza fiscale, previdenziale, conquistare nuove attività. Come del resto succede nel modello americano”.

Ma come si fa a diventare americani? Niente paura, ce lo spiega Andrea Airoldi, che dobbiamo ringraziare per la solidarietà che dimostra fin dall’uso dei verbi riflessivi che lo dipingono come uno di noi, nonostante sia senior partner della società di consulenza Roland Berger (i cervelloni che elaborano i piani industriali e il nostro futuro, sgravandoci di simili preoccupazioni): “Non ci sono alternative: bisognerà ridursi e trasformarsi”- dice il nostro solidale consulente – “da qui a dieci anni mi aspetto che le filiali siano meno della metà e anche molto del personale in rete e al centro adibito all’operatività sarà superfluo, sostituito da processi digitalizzati e da clienti sempre più indipendenti. Sta per partire una rivoluzione del lavoro in banca come quella nell’industria italiana degli anni ’70-80.”

Oltre al solito mantra della mancanza di alternative, un passaggio importante il nostro consulente ce lo offre quando avanza un’analogia con le ristrutturazioni industriali degli anni 70-80. Interessante notare innanzitutto che questa analogia è anche sulla bocca degli esperti del settore, che nell’introdurre la necessità del sostegno statale, parlano di “una misura straordinaria per un momento straordinario visto che il comparto sta attraversando una crisi paragonabile a quella vissuta dal manifatturiero alla fine degli anni Settanta”.

È bene ricordare, che le ristrutturazioni richiamate, rappresentano l’avvio di un processo di deindustrializzazione che ha condotto alla distruzione di gran parte del tessuto produttivo del nostro Paese, senza che ai piani lacrime e sangue seguisse un suo successivo rilancio. Se fossimo psicoanalisti parleremmo di lapsus freudiano. Ma non possiamo credere che l’obiettivo sia l’affossamento del settore e la sua totale subordinazione ai capitali di provenienza estera. Non siamo malpensanti. Anche perché se fosse così, potremmo farci un’idea realistica di quella che sarà la nostra vita di bancari, dalle parole che uno dei rappresentanti del capitale globalizzato, l’azionista Bnp Paribas ha riservato alla partecipata Bnl. Non tanto per i numeri pur significativi (700 uscite, 12 giornate di solidarietà, chiusura di altri 100 sportelli, ecc…), ma per la motivazione addotta, che configura la natura dei cambiamenti di cui tutti parlano: la necessità di alzare la redditività.

Con un passaggio magistrale dal punto di vista politico, la questione degli esuberi viene sganciata dal suo contesto naturale, lo stato di crisi, per essere vincolata alla accettabilità o meno del livello dei profitti. Questo principio, che viene introdotto con un cavallo di Troia ideologico di quelli destinati a segnare le coordinate dei rapporti tra capitale e lavoro dei prossimi anni, sarà la fonte primaria, la Costituzione verrebbe voglia di dire, su cui poi si costruiranno contratti collettivi e aziendali, fino ad arrivare alla più minuta delle disposizioni idonee ad avere un impatto sulla realtà lavorativa. Tutto dovrà uniformarsi ad un livello arbitrario e variabile di profitto. In barba a quel resta dell’attuazione del principio costituzionale della funzione sociale dell’attività di impresa, il ruolo del lavoro viene completamente estromesso dai processi decisionali. Mai siamo stati così tanto merce.

“Questo è un business di persone, il prodotto si copia in poco tempo”, precisa il manager Lodesani. Da numeri, da merce, ritorniamo il perno del sistema. Qual è la verità?

Lo scenario è quello costruito in trent’anni di politiche economiche, aziendali e, soprattutto, culturali. La gestione dei benefici del progresso tecnologico, che nel nostro settore si manifesta con l’uso sempre più massiccio della multicanalità e con la digitalizzazione dei processi produttivi, è sottratta ad un pur sia minimo rapporto dialettico tra parte datoriale e rappresentanti dei lavoratori. Lo spostamento dei lavoratori da un segmento produttivo seriale (back office) ad uno relazionale (consulenza) in realtà si esprime in un’organizzazione del lavoro formalmente nuova, che utilizza il supporto delle nuove tecnologie, per mascherare il più bieco e vetusto sfruttamento delle energie psicofisiche dei lavoratori, con un contenuto schiacciato sul solo aspetto commerciale. Tra queste contraddizioni della narrazione manageriale, vanno inserite le leve con cui scoperchiare un disegno, che ci condurrà ad una subordinazione ancora peggiore. Come? Costruendo un’agenda minima che coinvolga noi lavoratori, un primo passo di un generale ridisegno del pezzo di esistenza che trascorriamo sul posto di lavoro. Come CUB-SALLCA del MPS, proponiamo di discutere sui seguenti punti:

  • L’assunzione di un ruolo paritetico dei lavoratori rispetto ai rappresentanti delle imprese, nella gestione delle ricadute determinate dal progresso tecnologico, interrompendo una latitanza che ai profitti conseguiti con la contrazione dei costi operativi, ha favorito il mantenimento di una ingessata struttura degli orari di lavoro (che anzi ha avuto sussulti in senso estensivo, e la cui flessibilizzazione sul modello del settore del commercio, è posta con disinvoltura accanto ai più arditi scenari fanta-bancari…).
  • Il coinvolgimento sostanziale dei lavoratori nella definizione dei nuovi profili professionali (e della conseguente formazione), rendendoli funzionali a soddisfare l’offerta di servizi sempre più qualificati di consulenza globale, indirizzati ad attività economiche svolte in linea con uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile.

Questo sforzo, deve partire dalla capacità autorganizzativa dei lavoratori. Unica strada per non essere più convitati di pietra nelle discussioni riguardanti il nostro futuro. Noi della CUB SALLCA ci siamo.

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[1] Addio al mito del “posto in banca”: così il bancario cambia mestiere, La Repubblica, 10 ottobre 2016

[2] Banche, accordo tra governo e Abi per 50mila prepensionamenti, La Repubblica 12 ottobre 2016

ATTENZIONE ALLE PRESSIONI COMMERCIALI

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Vogliamo rischiare di apparire noiosi e ripetitivi, ma riteniamo necessario rinnovare l’invito, innanzi tutto rivolto ai colleghi, a non cadere nella spirale perversa budget – pressione commerciale – raggiungimento risultati – gratificazione economica e/o professionale.
Purtroppo ci accorgiamo di rimanere inascoltati ed apparire come quelli che “remano contro” le sorti aziendali ed i suoi interessi.  Non è così !

Ancora di recente nel Banco di Napoli si sono realizzate truffe ai danni della banca attraverso l’erogazione di prestiti personali a nuova clientela. Nella fattispecie clientela presentata da promotori privi di accreditamento e di qualsiasi altro titolo che ne garantisse la loro attività. Spesso costoro, all’atto dell’avvenuta erogazione, esigevano, dal cliente che aveva ottenuto il prestito, un compenso per la loro utile mediazione, stazionando in filiale o nei pressi.

Da qui è iniziata la vorticosa circolazione di messaggi di allarme da parte delle funzioni centrali e di controllo, che hanno analizzato i casi, rilevato i tratti comuni che li caratterizzavano (nuovi clienti, importo del prestito, residenti fuori zona di competenza, documentazione falsa, ecc)  e diffidato direttori e responsabili vari dall’agire senza tenere conto di tutte le avvertenze e le circolari che, nel tempo, l’azienda ha emesso.

Il tutto, però, come recita un recente comunicato indirizzato al Direttore di Area, al Direttore Regionale, ai Direttori commerciali Retail e Personal e a tanti altri, “senza dover necessariamente pregiudicare le leve commerciali alla base del successo nel collocamento del prodotto”.

In poche parole la botte piena e la moglie ubriaca. Come l’ esperienza ci insegna, la botte è quasi sempre manomessa e sulla fedeltà della moglie gravano sempre dubbi.

Ma c’è poco da scherzare. I colleghi devono svolgere il proprio lavoro osservando la “diligenza del buon padre di famiglia”, mantenere un comportamento etico-professionale corretto e operare con senso di responsabilità, osservando le regole che sono a supporto della nostra attività.

Lasciamo alla coscienza ed alla coerenza dei nostri capi il dubbio se ciò che viene perentoriamente richiamato nelle circolari e nelle guide operative corrisponde alla lettera a ciò che viene detto nelle riunioni di tipo commerciale, in cui la collocazione dell’ultimo prodotto sfornato diviene l’obiettivo primario da raggiungere e sul cui altare si può benissimo sacrificare qualche norma che ci lega le mani.

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UBIS e COMDATA, UN ROBOT IN TESORERIA

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L’accanimento aziendale contro i Lavoratori delle Tesorerie è degno di miglior causa. Ancora vivo è il ricordo della job rotation nel secondo semestre del 2015 con conseguenti (e note) difficoltà operative. Così come permane la irregolare “personalizzazione” delle lavorazioni degli Enti passati in gestione da Torino a Roma con l’assunzione non dovuta di rischi operativi per i colleghi coinvolti. In quell’occasione fu già denunciata la creazione in vitro sulla piazza di Roma di esuberi giustificata da malfunzionamenti prodotti ad arte.

Una situazione di estrema delicatezza se si considera, da un lato la vigenza del D. Lgs. 231/2001 che attribuisce ai colleghi la responsabilità del loro operato, dall’altro l’operatività fuori norma che gli stessi colleghi sono “costretti” a svolgere, ed infine la mancata stesura – come chiedemmo – di un Ordine di servizio o di una disposizione scritta da parte del Responsabile della Struttura che ne sanasse il vulnus. A distanza di un anno nulla è migliorato. Anzi.

È di pochi giorni fa l’informativa aziendale che i prossimi 28, 29 e 30 settembre 2016 negli uffici di Tesoreria di Roma Anzani alcuni consulenti della COMDATA avvieranno un progetto pilota denominato Robotic Process Automation. Da notare che COMDATA è specializzata in servizi di “Business Process Outsourcing” e che al Banco Santander ha proceduto al trasferimento del ramo di azienda relativo ai servizi di back office a favore proprio della Comdata Spa. Un’operazione, forse, in odore di conflitto di interessi.

Ad essere analizzati nell’ambito di questo progetto (che sarà pilota per altre realtà di Ubis) saranno due non specificati processi di tesoreria ai quali sarà applicato un altrettanto non specificato processo di “elevato automatismo” con l’obiettivo di superare l’attuale “componente manuale di basso profilo”.

Innanzi tutto è da stigmatizzare l’intollerabile utilizzo da parte dell’Ufficio del Personale della formula “componente manuale di basso profilo”, la quale appare gravemente offensiva del lavoro svolto dai nostri Colleghi, la qualità del quale non dipende certo dalla loro volontà o dalle loro capacità professionali di cui hanno dato sicura prova in passato in ben altre realtà societarie. Una infelice formula che sembra richiamare, cambiandone il segno, le felici “posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali di particolare rilevanza”, tramite le quali nell’Accordo del 15.9.2012 (art. 2 – norma transitoria) l’Azienda permise a sei sindacalisti dalla firma facile di salvarsi dal licenziamento ex lege 223/91. Insomma: i lavoratori colpevoli di svolgere attività semplici vengono di fatto resi esuberi; sindacalisti con meriti di firma furono salvaguardati dagli accordi da loro stessi firmati. C’è qualcosa che non quadra.

La chiusura, pardon, la razionalizzazione del polo di Tesoreria di Trento (circa 90 persone), la cui attività consiste prevalentemente nella gestione del caricamento dei bilanci degli Enti e delle successive delibere di variazione, implica il trasferimento delle relative lavorazioni a Roma senza, allo stato, aumento di personale. La cosiddetta “componente manuale di basso profilo” è comunque da intendersi quella relativa ai processi autorizzativi di mandati, reversali e bonifici non effettuati tramite mandato informatico (attività svolta, ad esempio, dai telelavoratori), nonché quella relativa a bilanci e delibere.

Sorge il sospetto quindi che l’indagine della COMDATA sia propedeutica all’eliminazione della maggior parte delle lavorazioni massive/elementari e al mantenimento della sola gestione delle eccezioni e ad accentuare la criticità in termini di esuberi della piazza romana. Si tratta di un processo a tendere che sembra preludere al superamento della Tesoreria, quanto meno in ambito Ubis.

Da un punto di osservazione macroeconomico l’operazione in oggetto si inserisce in una pericolosa fase di transizione industriale all’interno della quale l’occupazione ed interi settori industriali sono persi per sempre e dove i percorsi di ricollocazione e formazione non hanno mai rappresentato una possibilità seria di nuovo lavoro, ma solo un grande e proficuo business da realizzare sulle spalle degli esuberi (prima) e dei licenziati (dopo).

Uno scenario aggravato il 1° settembre dall’ennesimo accordo sottoscritto con la Confindustria dal vago sapore collaborazionista, neocorporativo e concertativo per la gestione degli esuberi: grazie alla cosiddetta “offerta conciliativa” – tecnicismo per indicare la proposta economica e formativa per indurre ad accettare il licenziamento e conseguente chiusura tombale del rapporto di lavoro – i lavoratori considerati in esubero vengono consegnati nelle mani dell’impresa che, autorizzata ed incentivata a licenziare, non solo potrà beneficiare di una certezza dei costi dell’operazione, ma avrà cosi la garanzia di una condivisione sindacale definita centralmente che non può essere messa in discussione azienda per azienda.

Accordo che, come da recenti articoli apparsi sul Sole 24 Ore, non spende una parola per fermare le delocalizzazioni, la cessione di rami d’impresa e le tante altre furbate padronali costruite per attaccare salari e occupazione ed avallate nella nostra azienda, anche in presenza di violazioni di contratto, da chi oggi si propone come fautore e promotore di una “nuova via”.

Invitiamo i colleghi coinvolti nell’interazione con COMDATA, pur nel rispetto delle DISPOSIZIONI SCRITTE ricevute, a non facilitare lo scavo delle fosse proprie e dei colleghi. A proposito di collaborazionismo e di concertazione.

L’autunno del nostro scontento

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L’autunno è appena iniziato e si preannuncia caldo, in UniCredit e non solo.

In attesa di conoscere i dettagli della nuova rivoluzione copernicana (ormai annuale) per fine settembre due rapidi aggiornamenti su tematiche di attualità:

Tablet

In questi giorni stiamo ricevendo gli agognati tablet che siamo riusciti a ottenere a parziale e teorico compenso del fatto che ci hanno ulteriormente diminuito il VAP. Capita di sentire strane voci incontrollate sull’uso che si dovrebbe farne per cui è opportuno chiarire alcune cose:

  • il tablet è fornito dall’azienda in comodato d’uso, per cui fino al riscatto (che dovrebbe avvenire fra 18 mesi) è una proprietà di UniCredit concessa in uso gratuito. Non può essere venduto o ceduto a terzi e deve essere custodito “con la diligenza del buon padre di famiglia”.
  • NON si configura in nessun modo come strumento di lavoro e l’uso che ciascuno può farne è completamente discrezionale;
  • nello specifico non è obbligatorio scaricare e installarci alcunchè, né tantomeno sottoscrivere o attivare abbonamenti a proprie spese. Chiunque disponga di un abbonamento internet a casa o anche solo di un cellulare abilitato a navigare in rete può utilmente sfruttare i gigabyte che già ha senza regalare altri soldi alla TIM (posto che gli interessi usare il tablet per navigare);
  • SE si decide di accedere al portale UniCredit tramite il tablet bisogna installare e configurare Airwatch Container, che è sostanzialmente un applicativo che garantisce la sicurezza della rete dati (da e verso le applicazioni della banca). Al di là di usi personali secondo gli interessi e le necessità di ciascuno (es. accesso a UniCa, al cedolino stipendio ecc.) il fatto che si POSSA (ma NON si debba) aprire la casella mail di lavoro sul tablet non comporta obbligo di reperibilità e/o di risposta fuori dall’orario di lavoro. Fra l’altro per numerosi ruoli professionali “caldi” da questo punto di vista è già previsto il cellulare di servizio, che riceve anche e-mail come molti di noi hanno tristemente presente. Anche qui, il fatto di disporre di un apparecchio mobile che riceve e trasmette fuori dall’orario di lavoro non comporta automatica disponibilità né obbligo a farlo.

People Survey

Altro regalo dell’autunno caldo. Il nuovo CEO ci tiene tantissimo e le figure di sintesi sono state già debitamente “intrattenute” (che brutte espressioni si trovano…) sul fatto che tutti, ma proprio tutti la debbano fare.

La People Survey è ciò che tecnicamente si definisce un’”indagine di clima” e rientra nell’ampio filone delle indagini di mercato che più o meno tutte le aziende fanno in modo più o meno molesto nei confronti dei loro clienti. In questo caso i “clienti” siamo noi, e se l’indagine è anonima quanto i questionari del TRIM Index siamo a cavallo…

L’utilità della Survey dipende come sempre dal punto di vista. Per la dirigenza è un modo per sostenere che i problemi dell’Azienda sono attentamente soppesati e valutati, per dimostrare che c’è democrazia interna e ognuno può dire la sua. E’ appena il caso di notare che, in base a un’esperienza ormai più che decennale, l’obbiettivo è la QUANTITA’ delle risposte che se elevata decreta automaticamente il successo dell’iniziativa, indipendentemente da cosa sia stato effettivamente risposto. Che da noi ci sia malessere e sfiducia lo si può verificare mettendo piede in un’Agenzia o Ufficio qualsiasi, non occorrono i soloni di qualche società di consulenza che predisponga un sondaggio. Ma facendo ricorso a complicati algoritmi si dimostra sempre in modo inequivocabile, a distanza di qualche mese dal trionfale annuncio che la Survey ha avuto successo, che i problemi sono piccoli, circoscritti e sono stati già portati all’attenzione delle funzioni competenti.

Dal nostro punto di vista questo sondaggio non ha nessuna rilevanza pratica: ciascuno può farlo o non farlo a suo piacere, evitando magari di scriverci cose non vere per paura di chissà quale rappresaglia (ma senza illudersi che “vuotare il secchio” possa davvero servire a qualcosa). Gli strumenti per farsi sentire sono altri e hanno diversa valenza giuridica. Per esempio, iniziative come esposti alle competenti autorità sul tema dello stress lavoro correlato, già presentati dal nostro sindacato in altre aziende bancarie, sembrano più utili per sensibilizzare i vertici aziendali sullo stato di disagio lavorativo.

 

Chiunque sia interessato a ricevere, via mail, il materiale prodotto dalla CUB-SALLCA, sia sul Gruppo Unicredit sia su tematiche di settore o di carattere generale,

può richiederlo inviando un messaggio su

sallca.cub@sallcacub.org

precisando l’indirizzo (casa o lavoro) al quale desidera ricevere le nostre comunicazioni.

ESTERNALIZZAZIONI UBIS: ANCHE LE CARDS SE NE VANNO

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Le Cards vanno via. I colleghi andranno in SIA dopo essere transitati per la Newco ITALIA (che fantasia), il cui pacchetto azionario sarà poi ceduto SIA.

Ricordiamo che SIA è partecipata da numerosi soggetti, comprese Unicredit e Banca Intesa (2% cadauna), il più importante dei quali è FSIA con il 49.48%, società che è di proprietà per l’80% del Ministero del Tesoro, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, e per il 20% dalla Banca d’Italia (che a sua volta è detenuta da tutte le banche italiane).

Torniamo alla famigerata Newco ITALIA ed alla cessione del pacchetto azionario, operazione che, ci riferiscono i Quintuplici (mancano UGL e SINFUB), impedirebbe ai sindacati di utilizzare “quegli articoli di legge messi a tutela dei lavoratori”.

Evidentemente dall’ultima esternalizzazione è passato molto tempo e certi concetti sono stati dimenticati.

C’è da dire però che in precedenza, anche in presenza di “quegli articoli di legge messi a tutela dei lavoratori”, nonché di articoli del CCNL (art. 3 – attività appaltabili), i quintuplici non è che li abbiano utilizzati per impedire le esternalizzazioni.

Nemmeno davanti alle diffide delle colleghe e dei colleghi. Storiche furono le suppliche dell’A.D. Cederle alla redazione regionale del Friuli (30/3/2013) e dell’allora direttore generale Schiattarella (http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2013/03/31/news/ubis-i-pericoli-esistono-solo-senza-accordo-sindacale-1.6795579), che addirittura “vendeva i giocatori al Real Madrid e al Barcellona,  mentre loro stavano nell’Udinese o al massimo nella Fiorentina”.

In questo caso perciò, dicono i Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB), non si può usare l’art. 2112, perché c’è cessione del pacchetto azionario.

Mettiamo in chiaro due cose.

  • i Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) non denunciano, non combattono, non si ribellano al fatto che venga costituito ad hoc un contenitore (poco importa che sia una società, un servizio o una BL – come piace ai ns vertici) dove mettere delle persone già sapendo che verranno esternalizzate;
  • i colleghi comunque finiranno nella Newco ITALIA con le previsioni del 2112 (che ricordiamo essere un articolo del Codice Civile) ed in questa fase si porteranno appresso, oltre a tutti i diritti acquisiti (anzianità, ferie, indennità, comporto e quant’altro), tutto quello che il sindacato ha “conquistato” in precedenza ed applicato alle altre cessioni di ramo d’azienda.

A partire dal famigerato art. 9 dell’accordo di costituzione di UBIS del 17/2/2012 (firmato in contemporanea ad uno sciopero indetto in splendida solitudine dalla FISAC/CGIL di UBIS di Roma con manifestazione in Piazza SS. Apostoli partecipata da circa 400 lavoratori.

Articolo 9 che, raccontano le fonti, fu ispirato proprio dal sindacato “per mettere l’Azienda al riparo da possibili, eventuali, futuri speculatori”, e che recita nella sua parte peggiore:

Nel caso di cessione di UBIS ovvero di suoi rami d’azienda a soggetti esterni al Gruppo, ove le tensioni occupazionali dovessero emergere successivamente entro il limite massimo di sei anni dalla data dell’evento, UniCredit e le aziende trasferenti si renderanno disponibili a riallocare – ove possibile nell’ambito della provincia/area metropolitana, presso l’Azienda di origine ovvero presso altra azienda del Gruppo – il personale che dovesse risultare in eccesso a seguito di decisioni del Gruppo UniCredit (come a titolo di esempi non esaustivi, processi di insourcing di attività, trasferimento di attività già esternalizzate ad altro soggetto, cessazione del contratto di servizio per decisione del committente) ovvero di fallimento comunque connesso a tali eventi.”

Si dà il caso che recentemente DOBANK (ex UCCMB) degli americani Fortress e Prelios abbia inviato ad UBIS la disdetta dell’appalto (contratto di back-office), perché ritenuto non più conveniente, facendo decadere quelle che potevano essere le garanzie dell’art. 9.

Situazione del resto più volte rappresentata sempre in splendida solitudine da un gruppo di sindacalisti facinorosi e legulei (secondo la definizione di una autorevole ex segretaria nazionale della Fisac sanzionata dalla Commissione di Garanzia per violazione delle regole democratiche proprio in relazione ad un’esternalizzazione).

I Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) si sono scatenati in un crescendo di grassetti e caratteri urlati, di critiche e denunce sdegnate, di (pen)ultimatum di chiaro stampo oltranzista, di avvertimenti al popolo tutto (ma la categoria ed il gruppo non sembra abbiano raccolto queste grida di dolore e di chiamata alle armi) proclamando uno sciopero, addirittura, a livello nazionale.

Tutto bello se non fosse che lo sciopero in questione – peraltro con tentativo di conciliazione del 27 luglio, esito negativo datato 3 agosto, lo stesso giorno dell’informativa ai sindacati  e della diffusione del comunicato stampa alla comunità finanziaria – non serve a niente se non a “certificare l’esistenza in vita” di alcuni sindacalisti. Lo dicono loro stessi “Avrete le leggi, gli articoli, le procedure, la libertà d’impresa …” BASTA, NOI NON CI STIAMO !!!”

I Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) parlano di “decine” di studi di fattibilità, quindi sapranno pure le aree di intervento, e allora perché non le rilevano al di là della millanteria?

E sempre i Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) annunciano che “sarà la prima di una serie di iniziative …”. In attesa delle iniziative serie, le uniche che ricordiamo sono le svariate firme messe su accordi per le esternalizzazioni, per i demansionamenti, per i prepensionamenti (salvando gli amici sindacalisti che ricoprivano livelli apicali, qualcUNO evitando anche tre provvedimenti e uscendo con bonus tripli rispetto ai comuni mortali).

Ricordano un po’ quella combriccola di toscani – un bugiardo, un condannato con sei processi sulle spalle, una bella donna con il padre promosso per “meriti” – che ha rovinato migliaia di famiglie e che vuole riformare la Costituzione.

Affermare – numericamente parlando – che lo sciopero del 9 settembre è stato partecipato dal 60% dei colleghi delle Cards, ma dal 18% del resto di UBIS, con punte infime sulla piazza di Roma, potrebbe far pensare ad un successo. Il punto è un altro, è qualitativo.

I colleghi devono sapere che garanzie e tutele dei diritti non possono essere invocate (o rivendicate) da personaggi screditati che in occasione di precedenti operazioni di esternalizzazioni si sono dimostrati conniventi e subalterni e che sicuramente anche stavolta riproporranno il solito accordo fotocopia, con il toner vieppiù sbiadito, con il solo cambio dei nomi delle società e delle date.

Se si vuole avere ancora uno straccio di seguito e riconquistare una credibilità almeno parziale tra i Lavoratori, tra le proposte immediate ed indifferibili suggeriamo:

  • di “liberarsi” innanzitutto di tutti quei pseudo rappresentanti dei lavoratori conniventi e subalterni che hanno lasciato mani libere all’azienda suicidando il sindacato.
  • di disdire a livello nazionale l’accordo del 27/2/2001 che inseriva i bancari nei servizi pubblici essenziali.
  • di creare una task force di sindacalisti che a livello nazionale verifichi, società per società, struttura per struttura, stanza per stanza, persona per persona tutti i consulenti presenti con relativo contratto, ruolo, livello, mansione, come si fece in Capitalia Informatica nel giugno 2005.

Chissà, allora, se stavolta lasceranno le penne a casa.

Tanto le penne, quelle vere, con le esternalizzazioni ce le lasciano i lavoratori.

A proposito di “macelleria sociale”.

Intesa Sanpaolo. Pressioni assillanti e code alla cassa, due facce della stessa medaglia

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Gli ultimi due messaggi che abbiamo diffuso parlavano di una collega aggredita da una cliente (che non era stata servita perchè era stato superato l’orario di chiusura delle casse) e dell’estenuante richiesta di report sui risultati che ora, nelle filiali Personal, ha fatto un salto di qualità con la richiesta di prevedere anche il futuro.

E’ poi uscito un volantino dei sindacati firmatari dell’Area Torino, relativo alle condizioni penose del servizio di cassa (a conferma delle continue denunce che abbiamo sempre fatto sull’argomento), che ci consente di riflettere sul legame che tiene insieme queste tre notizie.

I vertici aziendali, di fronte all’impossibilità di tenere il ritmo di risultati fuori dalla realtà, stanno imponendo un modello di servizio devastante, fatto di sollecitazioni insopportabili verso i gestori e di tagli continui al servizio di cassa. Tutto questo determina un degrado del servizio e l’esasperazione dei colleghi e dei clienti, con il ripetersi di scene di litigi con l’utenza, che possono degenerare in rischi per l’incolumità dei lavoratori. Si pensi che, nello zelo di aumentare l’uso dei CSA, la Direzione Regionale Campania si era inventata di tenere le casse totalmente chiuse fino a che le operazioni ai bancomat non avessero raggiunto il livello desiderato!

Nel volantino dei sindacati firmatari viene detto che “la Banca, nell’ambito della sua autonomia organizzativa, fornisce delle direttive (spostare l’attività della clientela dalle postazioni di cassa alle macchine) ma ricordiamo ai nostri Direttori di Area che non c’è una correlazione diretta tra ricevere una direttiva e spegnere immediatamente il cervello”. Noi aggiungiamo che l’autonomia organizzativa aziendale trova dei limiti nelle leggi, in particolare nel Dlgs 81/2008, che all’art. 28 comma 1 richiama “l’obbligo per il datore di lavoro di valutare preventivamente tutti i rischi, ivi compresi quelli collegati allo stress lavoro correlato, secondo i contenuti dell’accordo quadro Europeo dell’8 ottobre 2004″.

Chiudere le casse a prescindere dall’affluenza, chiedere in modo assillante report sulle vendite, stilare classifiche individuali per mettere sotto accusa chi ha numeri più bassi, convocare i lavoratori a colloqui in cui si chiede conto del mancato raggiungimento dei budget (che non significa automaticamente scarso impegno lavorativo) sono tutti comportamenti che violano la norma citata e che abbiamo denunciato e continueremo a denunciare alle autorità competenti.

Ma questo non basta: dopo l’estate dovremo discutere collettivamente, gestori e cassieri, colleghi dei centri imprese e delle sedi centrali e di ISGS, di come contrastare questo modello lavorativo che lede la dignità dei lavoratori.

Nel frattempo, ricordiamo a tutti/e che il modo migliore per resistere alle pressioni commerciali è ignorarle: abbiamo detto e lo ripetiamo che non raggiungere i budget o il numero di appuntamenti previsti dal “modello” non costituisce violazione disciplinare, mentre alcuni comportamenti di responsabili, a vari livelli, violano accordi e norme di legge.

Allo stesso modo, chi lavora in cassa deve operare con calma, tutelarsi pretendendo il rispetto delle normative e delle pause previste, chiudere l’operatività all’ora prevista. Soprattutto deve evitare di affrontare discussioni con l’utenza; nei momenti più critici va spiegato, nel caso, che siamo vittime come loro delle scelte dei vertici aziendali ed i clienti vanno invitati a chiedere ulteriori spiegazioni ai responsabili.

A questi ultimi ci permettiamo di consigliare, anche per evitare gli insulti dei clienti, di non applicare meccanicamente le disposizioni che arrivano dall’alto: lavoriamo insieme per avere un clima lavorativo decente.

Intesa Sanpaolo ha superato positivamente gli stress test, ma ai dipendenti chi lo fa il test sullo stress lavorativo?