Archivio Unicredit

Fondo Pensione EX CRT un bilancio da bocciare

 

 

 

 

Ancora una volta tocca intervenire su una vicenda che riguarda i Fondi Pensione del Gruppo Unicredit. 

In base ad un accordo sindacale del 2019, a completamento del processo iniziato nel 2015 di confluenza dei Fondi ex banche nel Fondo di Gruppo, è stata offerta ai titolari di Fondi a prestazione definita (esempio, ex Casse di Risparmio di Torino, Treviso e Trieste), di capitalizzare (se pensionati) / “zainettare” (se attivi o esodati) la propria posizione. 

L’iniziativa era condivisibile, in quanto la scelta era volontaria e chi voleva mantenere l’iscrizione alla parte a prestazione definita era libero di farlo. 

Le modalità di attuazione sono state, invece, esecrabili: la ripartizione del patrimonio tramite calcoli attuariali nel 2021 ha prudenzialmente ipotizzato lo scenario in cui pochi avrebbero scelto la capitalizzazione, tanto da richiamare nell’accordo finale un ulteriore calcolo attuariale dopo un anno dalla scelta per suddividere l’attivo eventuale, compreso di crediti prima non disponibili. 

Purtroppo, lo zainetto è confluito a ottobre 2021 sul comparto a 3 anni ed il nuovo calcolo attuariale (a invarianza di parametri?) è stato effettuato nel 2022: andamento dei mercati estremamente negativo, perdite considerevoli su comparto azionario e obbligazionario, sparizione degli “attivi eventuali”. 

Ad essere danneggiati sono tutti gli iscritti al Fondo, ma in particolare i titolari delle ex-sezioni di Roma e Milano, insieme ai colleghi delle ex- CR Torino, Treviso e Trieste, perché a chi ha capitalizzato/zainettato risulterebbe così sottratto l’eventuale recupero a conguaglio. 

I responsabili di questa condotta disastrosa hanno fatto tutto senza alcuna informativa trasparente agli iscritti interessati. Si cerca di fare passare tutto sotto silenzio, senza assunzione di responsabilità. 

In prima convocazione il quorum per approvare il bilancio non è stato raggiunto. 

Nella seconda convocazione si voterà dal 16 al 23 maggio: facciamogliela pagare e votiamo CONTRO!

 

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

UN ORCEL NON FA PRIMAVERA

 

 

Il 9 dicembre scorso il nuovo A.D. di Unicredit ha presentato il piano industriale 2022-2024.

Dopo gli anni della vendita dei gioielli di famiglia, da parte del precedente A.D. Jean Pierre Mustier, la nuova gestione ha cercato di svoltare.

Dopo il rifiuto della fusione con Monte dei Paschi di Siena e la sanguinosa fuoriuscita dal mercato turco (3,2 miliardi di perdita), Andrea Orcel ha impostato la sua strategia di rilancio.

Ci sono luci e ombre: il piano esprime un cauto ottimismo su una modesta crescita dei ricavi (solo 1 miliardo nel triennio) e soprattutto avanza luccicanti promesse agli azionisti (16 miliardi cumulati, tra dividendi e buy back); d’altro canto si impegna per 3.600 assunzioni e prevede il rientro di alcune lavorazioni.

A noi interessa valutare soprattutto le conseguenze per i lavoratori. Buona lettura.

 

 

 

CUB-SALLCA Gruppo Unicredit

UNICREDIT ED IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Come sta accadendo in quasi tutte le banche e le assicurazioni, anche in UNICREDIT è scattato il ritorno alla normalità, intesa come superamento graduale dello Smart Working e rientro in presenza con percentuali crescenti.

Il tutto senza negoziazione con i sindacati e nella più assoluta discrezionalità dei responsabili, senza regole e ordini di servizio trasparenti.

E senza neanche predisporre la continuazione delle misure di contenimento del virus che erano state adottate nella fase precedente.

E’ giustificato quindi il disorientamento dei lavoratori, che traspare dalla testimonianza che trovate in allegato…

 

IL LAVORO IN UNICREDIT AI TEMPI DEL COVID

Spesso la retorica edulcorata del management bancario appare molto lontana dalla realtà lavorativa vissuta tutti i giorni dai dipendenti.

Le croniche carenze di organico rendono, da tempo, pesante la situazione negli uffici di sede come nelle filiali, ancor di più in quelle di piccole dimensioni. Se poi si aggiunge l’emergenza covid il disastro è completo.

Ecco cosa ci scrive un lavoratore, la cui testimonianza è significativa perché la riteniamo altamente rappresentativa della realtà quotidiana di molti colleghi.

Da parte mia posso portare l’esperienza della mia attuale Agenzia, simile a molte altre Agenzie piccole: siamo in due, io e una collega in part time, direttore condiviso con altra agenzia. I problemi maggiori sono principalmente: 

i bancomat da caricare/scaricare, per cui la collega si ferma ben oltre l’orario previsto dal suo part time.

Telefono (3 linee) che suona in continuazione, essendo in due diventa fisicamente impossibile rispondere a tutte le telefonate, con conseguenti lamentele.

Il problema peggiore, però, è stato l’abolizione del servizio di regolamentazione servizio clientela, il che ci costringe ad essere bancari/centralinisti/portieri con aumento di stress e rischi sul lavoro (stai parlando con un cliente e suona la porta… Lasci il cliente e vai a vedere chi è… Ha preso l’appuntamento? No, deve telefonare… Non ha il numero? Aspetti che glielo scrivo… Torni indietro e glielo scrivi su un foglietto, poi torni alla porta e lo consegni, ecc. ecc .nel frattempo non hai risposto a tre telefonate e il cliente alla scrivania sbuffa) 

Come risponde Unicredit a questa situazione di disagio? Al momento procedendo con gli esodi e falcidiando ancora di più gli organici che verranno rimpiazzati in minima parte con nuove assunzioni. Vogliamo sperare che la risposta che arriverà non  sia solo quella di aspettare che, prima o poi, il piano di razionalizzazione degli sportelli metta fine all’agonia chiudendo la filiale!!

Intanto si confida sul senso di responsabilità dei lavoratori per fronteggiare la continua emergenza. Forse sarebbe ora di dire basta e cominciare a fare il minimo indispensabile, non farsi carico di risolvere i problemi determinati da condizioni di lavoro inaccettabili, che tra l’altro espongono al rischio di errori che non verranno perdonati.

In attesa di risposte serie, proponiamo ai colleghi e alle colleghe di organizzarsi per pretendere condizioni di lavoro dignitose: non è solo con lo spirito di sacrificio che si possono far funzionare le cose.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Unicredit

UNICREDIT: LA PANDEMIA NON FRENA GLI APPETITI DI MANAGEMENT E AZIONISTI

La diffusione del contagio da COVID-19 avrebbe dovuto portare ad una maggiore consapevolezza della fragilità dei sistemi.
Anziché ripensare a fondo il proprio modello produttivo, le aziende proseguono imperterrite come se nulla fosse accaduto.
La ricerca del risparmio sui costi ed il perseguimento di utili sempre più difficili si ribaltano sul personale, con conseguenze deleterie.
Siamo sempre di meno e ci viene chiesto di fare sempre di più.
Anche in questo contesto l’azienda insiste nelle pressioni commerciali, chiedendo di collocare e di vendere, sfruttando la nuova piattaforma digitale UBook.
La rete filiali però è al collasso, la clientela è esasperata e le priorità sono altre: non è possibile obbedir tacendo.
Cambiamo rotta prima che sia troppo tardi, cominciando dalla difesa dei lavoratori: quando vengono impartiti ordini discutibili (o illegittimi) bisogna cercare di documentare gli episodi più gravi e poi valutare quali iniziative intraprendere.
Nel caso contattateci.

UNICREDIT: LA PANDEMIA NON FRENA GLI APPETITI DI MANAGEMENT E AZIONISTI

I processi digitali in Unicredit procedono speditamente anche in questi mesi di emergenza Covid e senza particolari turbamenti per la numerosa fascia anziana della clientela che è sempre più disorientata di fronte ai mutamenti in atto.

I colleghi in rete si trovano spesso ad affrontare situazioni di stress, dovute all’ansia per i rischi sanitari e con un organico sempre più all’osso anche a causa della fuoriuscita di migliaia di dipendenti per le campagne di esodo programmato in corso.

In questo scenario difficile, l’Azienda preme per le nuove campagne commerciali, in quanto occorre saper “cogliere le opportunità del momento” e perché il conto economico “non può più attendere oltre”. La novità delle ultime settimane è il pressante invito a tutti i lavoratori della rete di utilizzare la piattaforma digitale per le prenotazioni della clientela (UBook) come strumento essenziale per trasformare l’appuntamento in opportunità per proporre i più svariati prodotti, in primis quelli assicurativi.

Con questo sistema però si rafforza anche il sistema di monitoraggio dei dipendenti in merito all’efficacia delle proposte commerciali. Molti capi area hanno insistito sul fatto che, nel momento in cui un cliente chiede una nuova carta, un finanziamento o deve sospendere rate di prestiti, bisogna approfittarne per vendergli un pac o una polizza salute, vista la situazione.

In tale contesto si inasprisce quindi il clima nelle agenzie, dove i clienti sono esasperati per le restrizioni, le attese infinite agli sportelli, la mancanza di risposta alle telefonate, e scaricano il proprio malumore sui colleghi con insulti, minacce verbali e in casi estremi anche con violenze fisiche.

È’ giunto il momento di pretendere dall’Azienda condizioni di lavoro basate su una maggiore sicurezza e rispetto nei confronti dei dipendenti che lavorano quotidianamente con impegno e consentono al management di continuare a percepire lauti compensi sui risultati raggiunti.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Unicredit

 

 

DITTATURA DIGITALE

Da quasi due anni Unicredit ha intrapreso una massiccia campagna di digitalizzazione della clientela individuata come strumento primario per conseguire in modo efficace un forte contenimento dei costi, soprattutto tramite una consistente riduzione del personale.

Se da parte aziendale è legittimo l’obiettivo di riduzione dei costi, occorre però sottolineare che è fondamentale il rispetto ultimo della volontà delle persone, che comunque deve essere accettata e non artificiosamente forzata.

A tale proposito nelle ultime settimane abbiamo ricevuto numerose segnalazioni da parte di colleghi, che lamentano una forte pressione sul personale affinché tutti provvedano a scaricare l’app di Unicredit sul proprio cellulare, fino al punto di pubblicare elenchi di “colleghi inadempienti”.

Vale la pena di sottolineare che i colleghi, che comunque decidano di non aderire a questa indicazione, non devono temere ritorsioni di alcun tipo o provvedimenti punitivi.

Invitiamo tutti a segnalarci comportamenti da parte di zelanti responsabili che vadano oltre il normale consiglio: opportunamente documentati, tali comportamenti potranno determinare denunce nei loro confronti.

La volontà delle persone è fondamentale, ogni imposizione arbitraria o minacce varie, oltre che essere del tutto inaccettabili, sono anche illegali e avranno risposte adeguate nelle opportune sedi.

 

CUB-SALLCA Gruppo Unicredit

 

UNICREDIT DALLA TRAGEDIA ALLA FARSA

L’emergenza Covid-19 sta iniziando a rientrare gradualmente, seppure permangano rischi imponderabili di contagio di ritorno. 

La fase convulsa che abbiamo alle spalle ha visto comportamenti diversificati tra le varie banche. 

A fronte di misure tempestive e comportamenti allineati ai provvedimenti governativi e ai protocolli di settore, si sono riscontrati purtroppo anche ritardi, inefficienze ed omissioni gravi.

Nella fase della “ripresa” si coglie negli umori aziendali un senso di accelerazione verso un ritorno all’antico, la corsa a recuperare il tempo perso, l’ansia da prestazione.

Non mancano però veri e propri autogoal, iniziative prive di senso, cadute di stile; a latitare sembra più che altro il senso della realtà. 

Abbiamo provato a raccontarlo attraverso le vicende di Unicredit.

(altro…)

UNICREDIT: UN ACCORDO ORDINARIO IN TEMPI STRAORDINARI

L’emergenza coronavirus non ha bloccato le trattative ed è stato siglato l’accordo sindacale per la gestione delle “eccedenze produttive” previste dal nuovo piano industriale di Unicredit.

L’accordo ridimensiona parzialmente le richieste iniziali di riduzione d’organico di 6.000 unità e prevede il ricorso massiccio al Fondo Esuberi.

In cambio c’è l’impegno ad assumere in rapporto di uno a due, ma resta la chiusura di 450 filiali in Italia, come deciso dall’azienda.

E’ stato firmato in modo contestuale l’accordo per il Premio di Produttività Esercizio 2019 ed una serie di misure di welfare aziendale.

Alleghiamo un nostro commento critico di sintesi.

Buona lettura.

 

CUB-SALLCA Gruppo Unicredit

 

 

BANCHE: LA MAPPA DELLE CRISI ED IL CASO UNICREDIT

 

Il sistema bancario italiano continua ad essere investito da crisi cicliche che ne mettono a dura prova stabilità ed equilibrio. Mentre a livello nazionale si chiude il rinnovo del contratto, scaduto da un anno, con modalità che definire opache è un eufemismo, continuano a riproporsi crisi e vicende aziendali caratterizzate da forti difficoltà.

Il caso Carige sembra avviarsi verso una possibile soluzione, dopo l’assemblea dei soci di settembre, l’accordo sindacale da 1.200 esodi di novembre ed il recente aumento di capitale da 800 milioni di euro, che ha aperto la strada al ritorno delle contrattazioni in borsa ed il passaggio alla nuova gestione della Cassa Centrale Banca e del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.

Un’altra vicenda drammatica è quella della Banca Popolare di Bari, che è stata commissariata da Banca d’Italia il 13 dicembre, con l’esigenza di ricapitalizzare per almeno un miliardo di euro, con il prevedibile concorso di Mediocredito Centrale e (nuovamente) del Fondo Interbancario. Un caso che è subito diventato anche un caso politico, perchè richiama in causa la questione dei salvataggi bancari, così come sono stati attuati in Italia dopo l’introduzione del bail-in e poi con la nazionalizzazione del Monte Paschi, la rottamazione delle banche venete a cura di Intesa Sanpaolo e per ultima la soluzione già citata del caso Carige, con un forte intervento statale.

La varietà dei governi non ha impedito l’adozione di provvedimenti simili, se non addirittura copiati, in mezzo a polemiche accese e spesso strumentali, che non hanno portato alcun elemento di chiarezza rispetto al ruolo pubblico nella gestione delle banche “fallite”: la nazionalizzazione MPS è restata alla fine la classica socializzazione delle perdite, mentre le banche “private” che sono intervenute per rilevare le banche decotte hanno incassato lauti contributi statali, presto trasformati in distribuzione di dividendi agli azionisti.

Ora siamo però, con il caso Unicredit, ad un punto di svolta che impone serie riflessioni sul futuro del “business” bancario e le annesse conseguenze sul lavoro impiegato nel settore. Con la presentazione del piano industriale 2020-2023 la banca ha gettato la maschera, confermando sostanzialmente le voci che correvano sin dall’estate scorsa: 8.000 esuberi, di cui 5.500 in Italia, e chiusura di 500 filiali di cui 450 in Italia.

Non si tratta, come negli altri casi citati, di un’azienda in crisi: nei primi nove mesi del 2019 la banca ha fatto 3.3 miliardi di euro di utile. Non si tratta di una banchetta locale investita da eventi imprevisti: parliamo di un colosso presente in 17 paesi, con 84.600 dipendenti e 4.500 filiali, che produce i suoi ricavi per il 47% in Italia, per il 21% in Germania, per il 10% in Austria e per il 22% nell’Europa dell’Est. E’ un’azienda che sin dai tempi di Alessandro Profumo ha basato la sua strategia su un modello di espansione paneuropea, realizzata con previsioni sbagliate, aspettative deluse, errori gestionali gravi.

L’esplosione della crisi finanziaria del 2008 ha fatto giustizia di progetti poco ponderati e costretto tutte le banche a fare i conti con la realtà. Unicredit ha dovuto dare corso ad aumenti di capitale corposi (l’ultimo, nel 2017, da ben 13 miliardi di euro) e nello stesso tempo battere in ritirata, vendendo tutti i migliori gioielli di famiglia (BankPekao, Fineco, Pioneer, Mediobanca) ed uscire dalle zone disastrate (Ucraina, Turchia).

Non resta molto su cui fare affidamento, le previsioni sul contesto economico sono molto conservative e prudenti (oseremmo dire realistiche). Nel nuovo piano Team 23 i tassi vengono visti molto bassi (Euribor – 0,50% fino al 2022 e poi – 0,40% nel 2023) e questo per una banca è un problema serio. Anche le altre componenti di ricavo (le commissioni sul gestito, le negoziazioni in proprio) vengono viste in stallo o addirittura in calo. Come si fa allora a garantire agli azionisti un adeguato ritorno sul capitale investito, se non c’è neanche più la possibilità o la convenienza di ulteriori fusioni e quindi nuove economie di scala?

Restano com’è ovvio soltanto i tagli lineari al personale e la chiusura degli sportelli! Tagliare sui costi per difendere gli utili, questo diventa il mantra di Unicredit per i prossimi 4 anni…

Certo non si tratta di una vera e propria novità: dal 2007 ad oggi la banca ha già fatto a meno di 22.000 addetti e si è liberata di altri 3.000 con cessioni ed esternalizzazioni. Tuttavia non sfugge a nessuno il salto di qualità, nell’adottare un piano che esplicitamente si propone di tutelare solo gli interessi degli azionisti e rompe con la retorica dominante che di solito parla in difesa di tutti gli “stake-holders”.

Obiettivo dichiarato è infatti quello di generare 16 miliardi di euro di nuovo capitale e distribuirne metà ai soci (6 miliardi tramite dividendi cash e 2 miliardi tramite buy-back delle azioni), mentre l’altra metà andrebbe al rafforzamento patrimoniale per soddisfare i requisiti regolamentari.

Un miliardo di euro dovrebbe provenire dal taglio del personale, con oneri di ristrutturazione che per la gran parte sarebbero concentrati in Italia e spesati già nel 2020.

Il costo del personale subirebbe in questo modo un vero e proprio tracollo: il totale degli stipendi pagati passerebbe da 6.423 milioni del 2018 ai 5.844 del 2023, mentre invece il rapporto costi/ricavi risulterebbe in calo di oltre tre punti già alla fine del 2021, scendendo dal 58,5% al 55,1%. Un bel caso di contenimento dei costi sulla pelle dei lavoratori…

Per gli azionisti invece si profilerebbe un bell’incremento di redditività, perché il dividendo distribuito per azione passerebbe da 0,27 euro del 2018 a 0,94 nel 2023, con una stabilizzazione del tasso di rendimento del capitale quantificabile nel 6,6% annuo. Non stupisce quindi che gli analisti e i gestori di fondi abbiano valutato molto positivamente il piano Team 23, dandogli un titolo adeguato: “da un comune caso di ristrutturazione si passa ad una storia molto attraente di distribuzione di capitale”.

I sindacati del settore hanno definito “irricevibile” il piano Unicredit e persino Landini, il segretario generale della CGIL, ha invitato l’azienda a “rivedere” il suo piano. Anche la politica ha alzato i toni, sollevando critiche alla gestione del CEO francese (ex-parà) Jean Pierre Mustier, arrivando anche a ipotizzare un disimpegno dall’Italia in vista di una fusione paneuropea che invece Unicredit ha escluso.

Intanto esistono ragionevoli dubbi che la massa di esuberi dichiarati possa essere gestita con il normale ricorso al Fondo di settore, vista la mole degli sfoltimenti già realizzata nel recente passato con il coinvolgimento “volontario” di tutti i colleghi che avevano i requisiti anagrafici e previdenziali per poter accedere al Fondo.

Ma anche se così fosse e quindi nessuno fosse costretto a farsi male, resta la questione della legittimità a tagliare l’organico per un’azienda che realizza ingenti profitti e che non mette sul piatto alcuna assunzione compensativa rispetto ad un piano draconiano.

Perché i sindacati non provano a ricostruire la mappa degli organici, analizzando filiale per filiale, ufficio per ufficio, per ogni posto di lavoro che si vuole sopprimere, la reale necessità di personale per fornire un servizio adeguato e lavorare in condizioni dignitose?

Non sarebbe opportuno contrattare un rapporto fisso tra “esuberi” e nuove assunzioni, anziché accettare la posizione della controparte che unilateralmente decide quanti posti distruggere?

Se ci sono nel nostro Paese 160 tavoli di crisi aperti, con il rischio di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro, legati in qualche modo a crisi aziendali “oggettive”, perché dovremmo permettere una riduzione di organico ed il conseguente calo della base occupazionale, solo perché Unicredit vuole incrementare i profitti per gli azionisti? Non sarebbe il caso di farne una questione di principio e provare ad opporsi, resistere, difendersi?

Una lotta dura può anche diventare una sconfitta, ma chi non lotta ha già perso in partenza…

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

SUI PRESUNTI ESUBERI IN UNICREDIT

 

La sparata di Unicredit relativa a 8.000 esuberi in tutto il gruppo (6.000 in Italia) non costituisce, purtroppo, una sorpresa.

A fine luglio avevamo inviato un commento su quella che, allora, era stata presentata come una “fuga di notizie” e avevamo osservato come tale notizia ufficiosa fosse uscita mentre si avviavano le trattative del ccnl. Ora giunge la notizia ufficiale proprio quando il ccnl sembrerebbe arrivare ad una stretta finale (di nuovo un caso?).

Quello che si può dire è che i pesanti carichi di lavoro nelle filiali e negli uffici di Unicredit smentiscono l’esigenza di ridurre così drasticamente gli organici.

Se si accetta il parametro in base al quale per aumentare i profitti si possono decidere a tavolino tagli lineari del personale, allora non ci sono più limiti.

Da troppo tempo, non solo in Unicredit, i sindacati firmatari accettano uscite massicce di lavoratori, chiedendo in cambio quantità limitate di nuove assunzioni, aggravando sempre più le condizioni di lavoro e facendo crescere la “voglia di fuga” di chi potrà accedere all’esodo successivo.

Decisamente Unicredit ha superato il segno e vedremo se i proclami bellicosi dei sindacati firmatutto avranno un seguito.

La vicenda, a nostro avviso, non può essere gestita solo a livello aziendale, ma va mobilitata tutta la categoria. E’ ora di far capire ai signori banchieri che si deve partire da condizioni dignitose di lavoro e non dall’esigenza di aumentare i profitti senza curarsi delle conseguenze.

1 2 4