Le fusioni bancarie mietono ogni giorno nuove vittime: accade in modo ormai sistematico che i rappresentanti sindacali, che trattano, aiutino attivamente le aziende a portare a casa i risparmi previsti da piani industriali, ambiziosi e irrealistici, comunicati ai mercati all'inizio del processo d'integrazione e già impostati con l'unico vero obiettivo d'incrementare i profitti a favore della rendita finanziaria. Il drastico cambiamento degli scenari di mercato rende sempre più difficile la realizzazione degli obiettivi di ricavo dichiarati e rende quindi necessaria una "stretta" ulteriore sui costi del personale.

Così accade che in Intesa Sanpaolo si sia giunti al terzo accordo per il Fondo Esuberi (del quale abbiamo scritto a parte), che ha portato ad un totale di 9.000 uscite (6.500 già andati, altri 2.500 in dirittura di arrivo, oltre a centinaia di dimissioni spontanee). In Unicredit-Capitalia la cifra iniziale di 5.000 esodi è stata superata in accelerazione, raggiungendo la bellezza di 8.000. La condizione lavorativa è talmente insopportabile che anche i più refrattari accettano, volenti o nolenti, di scappare il prima possibile, arraffando un po' di incentivi (sempre meno) ed un sconto di pena che potrebbe essere compromesso da nuove manovre sulla previdenza.

Nel bilancio costi-benefici le aziende cercano ovviamente di tirare la corda dalla propria parte, rispettando in modo assai blando i già scarni impegni all'assunzione di nuove leve (in media una ogni dieci uscite) e forzando (come accaduto nell'ultimo accordo di Intesa Sanpaolo) l'adesione all'esodo per tutti quei lavoratori che hanno già maturato il diritto al pensionamento. Le banche puntano quindi molto sulla sostituzione del personale vecchio e costoso con giovani apprendisti assai meno pagati (ed assai più ricattabili: chi meglio di loro potrebbe essere indotto a rifilare ai clienti prodotti a dir poco discutibili?). Non disdegnano però di infilare negli accordi di armonizzazione anche altre clausole, che possono garantire ulteriori risparmi, o una gestione più "flessibile" del personale, o una riduzione tendenziale del "welfare" aziendale.

Alcuni casi vanno sottolineati, anche perché non sempre evidenziati con la dovuta enfasi da chi ci viene a spiegare gli accordi nelle assemblee, tutto proteso a "venderceli" come storici, più che a illustrarci quello che andiamo a perdere.
Nell'accordo relativo al Vap del 2007 (pagato nel 2008) di Intesa Sanpaolo è stato introdotto il principio che i destinatari di un provvedimento di sospensione dal servizio (e dalla retribuzione) non avrebbero ricevuto il premio di produttività. Peccato che i colleghi ex Intesa non abbiano mai avuto una regola simile e che, quando la sanzione venne comminata, non potessero immaginarne le conseguenze.

Un altro caso eclatante riguarda i colleghi di Capitalia, per i quali è prevista l'armonizzazione con la normativa Unicredit. Anche qui le segreterie dei sindacati hanno firmato un accordo con aspetti francamente inaccettabili: la parte del premio di rendimento extra-standard, che erogava dal 1992 ai colleghi Capitalia un importo medio di oltre 2.000 euro annui, viene riassorbita negli aumenti per promozioni non di merito entro il 2011. In sostanza le segreterie aziendali hanno firmato un peggioramento delle condizioni salariali normate dal CCNL 1999 (quindi un livello di contrattazione superiore), sotto la minaccia aziendale di applicare sin da subito la normativa Unicredit meno favorevole.

Inutile dire che, come sostenevamo noi al momento dell'annuncio delle fusioni, queste operazioni si sono tradotte in meri esercizi di risparmio sui costi, taglio degli organici, riduzione dei diritti dei lavoratori. Tutto questo è avvenuto col silenzio complice dei sindacati concertativi che, ora, stanno aggiungendo qualche "ciliegina" per rendere ancora più ricca la torta dei banchieri. Anche questi episodi dimostrano la necessità per i lavoratori di reagire e di organizzarsi con il sindacato di base.

Con la Cub-Sallca si possono sconfiggere passività e rassegnazione.

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