Come gli altri maggiori gruppi bancari italiani anche UBI annovera tra le sue, una società di servizi, la UBI Sistemi e Servizi (UBISS), che ha visto i natali ormai circa 3 anni fa. Anche a posteriori l’evento è meritevole senz’altro di una qualche riflessione, se non altro per i probabili futuri sviluppi prospettici.
Il conferimento di un importante ramo d’azienda di UBI (essenzialmente IT e Back Office) determinò nei 1650 lavoratori coinvolti, ansie, preoccupazioni, sospetti, timori.
Sentimenti rafforzati da manovre aziendali propedeutiche che li avevano visti spettatori di una diaspora delle risorse più giovani verso altre realtà (Capogruppo e Banche rete), lasciando quelle più vecchie (e costose) al loro nuovo destino. La motivazione ufficiale fu il recepimento e l’applicazione del modello bresciano, che vedeva già esistente la Lombarda Sistemi e Servizi, una società, all’epoca della fusione, di circa 650 dipendenti. Una questione quasi formale quindi, un modo di concepire e organizzare l’azienda e forse niente più.
Ma, come avremo modo di vedere più avanti, la partita aveva (e ha) tutt’altra importanza.
A Bergamo, dicono le cronache, avevano già tentato, anni prima, di istituire una società simile, la Macchina Operativa di Gruppo, suscitando la rivolta popolare che portò alla frettolosa archiviazione della pratica.
Con UBISS le cose erano quasi fatte dal punto di vista formale, la società esisteva già a Brescia: bastava cambiargli il nome e ampliarne il perimetro farcendola di attività e personale.
L’iniziativa sindacale, inizialmente decisamente contraria alla manovra, si fece nel prosieguo fiacca e rinunciataria: alla strepitosa risposta dei lavoratori chiamati in piazza per manifestare il proprio dissenso, non fu capace di far seguire iniziative analoghe di mobilitazione ed andò a chiudere, dopo tanti proclami, un accordo alla vigilia del ferragosto 2007, che se da una parte prospettava una serie di “garanzie” dall’altra ratificava la cessione del ramo aziendale e la nascita della nuova UBISS.
Con l’ultimo ritocco all’accordo di fine 2009, i sindacati trattanti hanno siglato un rinvio di 2 anni del passaggio a libro paga di UBISS, per i distaccati di UBI, dal gennaio 2011 al gennaio 2013. Cosa che può solo avere un effetto psicologico e nulla di più.
Il vero nodo, che verrà al pettine nell’agosto 2014, è quello del venir meno dell’obbligo da parte di UBI Banca del possesso del pacchetto di maggioranza di UBISS.
Abbiate presente che in Intesa Sanpaolo l'accordo sul consorzio del marzo 2009 garantisce che la società consortile lavori esclusivamente per il Gruppo, sia di proprietà esclusiva delle società del Gruppo, che sono anche le uniche fruitrici del servizio; garantisce inoltre il rientro dei lavoratori e delle attività nella capogruppo nel caso di qualsiasi operazione societaria, quale ad esempio conferimento, cessione, scorporo anche parziale, ed in presenza di ripristino dell'esenzione dell'IVA infragruppo, con mantenimento della stessa sede di lavoro. Ebbene di fronte a un accordo della siffatta specie Intesa San Paolo ha trovato il modo di farsene beffe, come spiega la vicenda di Banca Depositaria, che ha portato, dopo le agitazioni indette da Falcri e dalla CUB Sallca, alla firma da parte delle OO.SS. trattanti di un ulteriore accordo che in sostanza trasforma la originale garanzia totale ed assoluta di immediato rientro, in una richiesta esigibile tra sette anni: un tempo praticamente biblico e che prevede possibili demansionamenti e nessuna garanzia sui limiti territoriali per tornare in Intesa Sanpaolo.
Pensate ora alle “pluriarticolate” garanzie di UBISS che, tanto per cominciare non prevedono nessuno dei “pilastri” prima enunciati per Banca Intesa. Fanno riferimento a rientri in UBI Banca (o meglio nelle società del Gruppo) nel caso di possibili (e non augurabili) eventi futuri, con modalità da definire, “a condizione che presso la Capogruppo non siano in corso procedure inerenti a tensioni occupazionali”.
E’ brutto dirlo ma in sostanza le garanzie non ci sono (e potremmo dire che non potevano esserci). Si sciolgono come neve al sole, alla dichiarazione aziendale di “Tensioni occupazionali” (e se ci fosse qualche dubbio sulla possibilità di invocarle vedasi l’ultimo aggiustamento al piano industriale). Aggiungiamo che neppure la formula del distacco poteva garantire sonni tranquilli. Insomma, di fronte ad operazioni di cessioni di ramo d’azienda, purtroppo, non esistono formule magiche. O si cambia la legislazione (ricordiamo che la Cub=Sallca aveva collaborato ad una raccolta firme per modificare l’art. 2112 del codice civile) o si fa cambiare idea all’azienda con le lotte: l’unica vera garanzia è la capacità dei lavoratori di reagire e mobilitarsi. Vogliamo sottolineare questo concetto perché è verosimile che i problemi dei consorzi e, più in generale dell’area contrattuale, saranno al centro anche del prossimo rinnovo contrattuale: esiste il concreto pericolo di una più o meno graduale fuoriuscita delle società di servizi dal mondo del credito.
Appare chiaro ora come la nascita di UBISS faccia parte di un più ampio ed ambizioso piano di riconfigurazione delle strutture del Gruppo.
A chi avesse dubbi in proposito, proponiamo questo eloquente passaggio tratto da un articolo della rivista “Lavoro Bancaria” (n. 10 2009), di Cristiana Minguzzi, dell’ABI, l’associazione di categoria dei banchieri. L’articolo tratta delle dinamiche retributive nel settore: le sottolineature sono nostre.
“Le banche degli altri Paesi (europei NdR) stanno, infatti, continuando a sviluppare potenti processi di cambiamento che riguardano, sul piano macro=organizzativo, l’esternalizzazione, anche in un’ottica internazionale, di funzioni amministrative sempre più ampie, che portano alla creazione di centri servizi insieme ai concorrenti ovvero all’esternalizzazione in società separate, aventi contratti di lavoro diversi e meno costosi di quelli della banca di origine, non solo di processi amministrativi, ma anche di delicate attività produttive, quali la gestione crediti e la gestione delle risorse umane. La ristrutturazione del ciclo bancario consente in Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna di far svolgere attività “storicamente” bancarie da personale non avente un contratto di lavoro di tipo bancario, o perlomeno un contratto diverso da quello della banca capogruppo: questo si verifica, a seconda dei casi, nelle banche low cost, nelle reti di dipendenze in franchising, nelle strutture centralizzate di back office, nelle attività di staff ormai ampiamente esternalizzate”.
Un’ampia citazione per mettere tutti in guardia per tempo. Il prossimo rinnovo del contratto nazionale rischia di replicare la debacle del contratto del 1999.
Ora, o i lavoratori si attrezzeranno con il sindacalismo di base per prepararsi alle lotte oppure lasciare l’iniziativa e la rappresentanza nelle mani delle attuali sigle firmatarie sarà come rinunciare alla legittima e doverosa difesa dei propri diritti e alla prospettiva di costruirsi un futuro migliore.

Non delegare chi non merita la tua fiducia: sostieni il sindacalismo di base con la tua partecipazione in prima persona.
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