E' sempre sbagliato personalizzare troppo gli eventi, ma è indubbio che la caduta dell'osannato ex-supermanager abbia un significato simbolico importante.
Noi non ci siamo mai uniti al coro osannante e possiamo, a buon diritto, criticare il suo operato, non per la scarsa capacità di produrre profitti nell'ultimo periodo del suo regno, ma per la gestione complessiva di tutto il periodo in questione.
Diciamo pure che le sue colpe andrebbero in gran parte condivise proprio da quelli che oggi lo hanno tirato giù dal piedistallo, quegli azionisti silenti che per anni hanno incassato miliardi di dividendi e di plusvalenze,  per poi svegliarsi di botto quando il capo ha loro richiesto sette miliardi di euro, con due aumenti di capitale, per restare a galla.

Troppo comodo farlo ora che i risultati non arrivano e Alessandro il grande ha dovuto cercare i rinforzi della cavalleria libica per rafforzare il patrimonio e difendere le trincee nei 22 paesi in cui oggi Unicredit è ramificata.

La sua caduta dovrebbe essere lo spunto, anche,  per una riflessione sul modello bancario sorto sulle ceneri della "foresta pietrificata", dopo che il sistema, a larga maggioranza pubblico, è stato sottoposto ad una drastica privatizzazione a partire dal 1990, senza peraltro che si vedessero dei privati con soldi veri da investire. La quotazione ha però reso scalabili le banche (mettendo in pericolo l'"italianità" del controllo), frenetica l'attesa di risultati a breve, ansiogena la gestione corrente.

Da lì è partita la gara a creare concentrazioni sempre più grandi con fusioni spesso discutibili e politiche commerciali sempre più aggressive, con l'aiuto di immancabili consulenti alla McKinsey, perché bisognava alimentare una corsa all'espansione senza fine.

Non è certo Profumo l'unico responsabile per le strategie commerciali forsennate e la corsa a creare colossi creditizi "troppo grandi per fallire", anche se qualcosa di suo lo ha messo: sotto la sua guida il gruppo Unicredit ha conquistato un poco invidiabile primato  nella vicenda dei derivati ad aziende ed enti pubblici. Inoltre la sua politica di acquisizioni all'estero dissennate ha portato il gruppo a trovarsi in una posizione particolarmente rischiosa, rispetto alle altre banche italiane, al momento dello scoppio della crisi nel 2008.

In cambio l'ex-A.D ha ricevuto bonus, azioni e prebende da banchiere all'americana, culminate nella liquidazione da 40 milioni di euro, fatti che inspiegabilmente non sembrano intaccare la sua fama di uomo di sinistra, vittima di complotti leghisti o centro-destri.

Adesso è  cambiato il solista  ma non l'orchestra ed il rischio è, soprattutto, che non cambi la musica per i lavoratori. Per loro gli anni dell'era Profumo non saranno certo ricordati con rimpianto, anche grazie agli atteggiamenti accondiscendenti dei sindacati firmatari, che oggi lamentano il rischio di un nuovo assalto dei partiti alle banche, ma dimenticano il prezzo che i lavoratori devono pagare ogni giorno al "mercato" e alle sue logiche.

Tutti tendono poi a dimenticare che la tanta decantata "autonomia dei manager" ha prodotto, soprattutto nel sistema anglosassone e nel Nord Europa,  disastri finanziari inenarrabili, che hanno dovuto essere tamponati con interventi provvidenziali dei "politici", disponibili o costretti a convogliare verso il patrimonio di vigilanza delle banche gigantesche quantità di contributi pubblici, prelevati principalmente dalle tasse dei semplici lavoratori, pensionati e risparmiatori. Anche in Italia non è mancato il ricorso ai Tremonti Bonds, in alcuni casi critici. 

Un trasferimento di soldi che spesso grava, in misura doppia o tripla, sugli stessi soggetti, spennati prima come risparmiatori, poi come contribuenti e infine come destinatari di pensioni irrisorie, per garantire i saldi della finanza pubblica.

E' importante che alla caduta di Profumo corrisponda un cambio di atteggiamento aziendale, soprattutto ora che sono in corso trattative dove la banca chiede deroghe pericolosissime alla normativa (esodi, trasferimenti, mansioni) che rischierebbero di riscrivere, di fatto, il contratto nazionale, seguendo il cattivo esempio di un altro osannato e sopravvalutato manager come Marchionne.

La strada per la banca che vogliamo passa per alcune semplici innovazioni: prodotti semplici, ossigeno creditizio all'economia, utili sostenibili, crescita organica, gestione consensuale del personale, politiche retributive egualitarie e solidali,  soddisfazione dei bisogni elementari della clientela, modello di servizio orientato in senso etico e sociale. E' un modello di banca totalmente diverso da quella costruita in questi 15 anni da Profumo, un modello che tutti gli altri banchieri hanno cercato di imitare, per fortuna con meno successo. La crisi di quel modello è conclamata, ma molti ancora non hanno capito che non è più possibile riprendere a fare le stesse cose di prima, come se nulla fosse successo.

Ci hanno salvati l'arretratezza, la prudenza ed il buon senso, i soli elementi capaci di arginare la modernità devastante dei McKinsey's Boys. Perché solo noi osiamo chiamare le cose con il loro nome?

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Credito e Assicurazioni

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